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GRANDEZZA E CATASTROFE NELLA NUOVA BISANZIO

Sui conti del Museo del Cinema non dispongo di notizie più precise rispetto a quelle che leggo stamattina su La Stampa e Repubblica. Purtroppo, dal confronto fra gli articoli non capisco bene - sarò io limitato - se ci sia un "buco" di bilancio, e di quale entità.

Il bilancio del Museo: fatti e ipotesi

L'unico fatto incontrovertibile è che l'altro giorno il CdA del Museo si è riunito e ha constatato alcune discrepanze fra il bilancio 2016 e le previsioni dell'assestamento del novembre scorso; al momento non è chiaro se siano dovute a errori di calcolo o a uscite non previste. La settimana prossima ci sarà la discussione del consuntivo 2016, e intanto si rifanno i conti. Aggiungo che a oggi il bilancio più recente disponibile sul sito del Museo alla voce "amministrazione trasparente" è il previsionale 2016, che risale al novembre del 2015. Roba fresca, insomma. La relazione dei revisori dei conti allora sottolineava soltanto il rischio rappresentato dall'eventuale riduzione dei contributi pubblici.
Un altro dato che emerge dall'articolo di Repubblica è la tentazione di Paolo Damilano di non restare alla presidenza del Museo oltre la scadenza del mandato, il mese prossimo. Penso che in tal caso la Regione non se ne dorrà: il rapporto fra Damilano e l'assessore Parigi è da tempo piuttosto problematico.
Sempre da Repubblica, mi pare invece preoccupante (questo sì) l'ipotesi che, in seguito ai tagli decisi dal Comune, il Museo possa abbandonare a se stessi i tre festival che organizza - Tff, Lovers e CinemAmbiente - decretandone così la morte, o suppergiù. Vabbé, ogni giorno ha la sua pena: vedremo se ci toccherà pure questa.
Tornando al bilancio del Museo, negli articoli trovo un tot di cifre piuttosto vaghe. Sia riguardo al taglio del contributo comunale (che viaggia a seconda delle ipotesi da 600 mila a un milione e duecentomila euro), sia - ciò che più incuriosisce - a proposito del temuto "buco", che sarebbe di un milione, no però se calcoli gli incassi extra della biglietteria sono 270 mila euro, no sono di più, no sono di meno, no però a novembre non risultava niente, e com'è e come non è che da novembre a oggi è sparito un milione, no però sono 270 mila, cioè, sono 247 mila... Quando si dice dare i numeri.
Un fatto mi sembra lampante: gli articolisti non hanno visto le carte. Lavorano su informazioni riferite da qualcuno. Niente di male, anzi, è un ottimo lavoro e la cronaca si fa anche così: però mi diverte immaginare chi possa essere quel "qualcuno".

Quel poco che ne so

Provo anch'io a mettere insieme uno straccio di dati concreti. Fatica improba: al Museo vige da tempo il motto "taci, il nemico ti ascolta". E il nemico sono io. 
Mi sembra comunque assodato che c'è uno scarto tra l'assestamento dello scorso novembre e il consuntivo che verrà discusso la settimana prossima. Peraltro, mi spiegano gli esperti di bilanci, accade con una certa frequenza: gli assestamenti - come i previsionali - si fanno su proiezioni, che poi in concreto vengono talora smentite dai fatti. Tanto più in un bilancio come quello del Museo che viaggia attorno ai 14 milioni di euro. 
Nel caso specifico le voci responsabili della differenza sarebbero i costi del personale (tipo ferie arretrate e altre voci tecniche che sui bilanci incidono assai), la maggiore Iva non detraibile, le spese per noleggiare le pellicole per le rassegne, un premio del Torino Film Lab non calcolato forse per errore umano. Ma sono ipotesi, e in fondo non hanno grande rilevanza. I contabili rifaranno i conti, come dice il nome stesso, e presto la matematica darà il suo responso.

Il bersaglio grosso: Alberto Barbera

Nell'attesa di dati affidabili, mi pare intuire che le anticipazioni fatte trapelare sui giornali abbiano un bersaglio grosso. Ovviamente è Alberto Barbera: cacciato dalla direzione, è vero, ma pur sempre fastidioso per via di quel famoso contratto di consulenza che c'è e non c'è.
Se fai fuori qualcuno, non puoi lasciarlo in circolazione con le stimmate del santo perseguitato. Urgono provvedimenti. E una fuga di notizie in casi simili è un eccellente provvedimento. Con quest'ultimo colpo di scena si chiude la faccenda; e al contempo si dimostra al pubblico plaudente che il Comune fa benissimo a tagliare i fondi a questi tipacci della cultura falabracchi e sperperatori. Talleyrand, ciucciagli il calzino.

Al di là dei problemi di ragioneria, il messaggio - per nulla subliminale - in arrivo dal Palazzo è che se il Museo rischia di andare in vacca è tutta colpa di Barbera, lo sciagurato che ha mandato a scatafascio i conti. Non è chiarissimo come ci sia riuscito tra novembre e oggi, se già a novembre era ai margini; ma queste sono quisquilie.
Sicché stamattina a Torino era un tripudio di "Barbera ottimo direttore artistico, ma con i conti non ci sa fare, al Museo serviva un direttore amministrativo". Al netto dei "capisciammè" sottintesi, sono parole già sentite e ripetute da almeno tre anni prima dalla Parigi e poi dai Cinquestelle subentrati in Comune. Parole ragionevoli: tant'è che uno si domanda perché non siano riusciti a trovarlo, 'sto salvifico direttore amministrativo, preferendo accumulare per mesi minchiate su minchiate, per non parlare di un bando mandato a ramengo, con conseguente spreco di 60 mila euro - by the way, già che stiamo a parlare di conti che non tornano sarebbe interessante sapere chi lo pagherà

Mentre cerco informazioni, trovo chi mi dice: "Fai attenzione a difendere Barbera, rischi una figuraccia". Mammamia che paura. Io non difendo né condanno nessuno. Io riferisco. E se sbaglio non ho nessuna remora ad ammettere i miei sbagli, a differenza di lorsignori. 

Successione al trono: il collaudato sistema bizantino

Purtuttavia: se non intendo difendere Barbera perché non è il mio mestiere, non rientra nelle mie ambizioni neppure lasciarmi perculare dal primo barbapapà di passaggio. E proprio perché io per vocazione e deformazione professionale riferisco, vorrei qui riferire che questa storia non mi è nuova.
L'ho già vista, per esempio, ai tempi della defenestrazione di Picchioni dal Salone del Libro.In quell'occasione avevo pensato che Torino è la nuova Bisanzio. Nell'Impero Romano d'Oriente - e fino al 476 d.C. anche in quello d'Occidente - uno dei sistemi istituzionali più praticati per la successione era l'assassinio dell'imperatore in carica. In alternativa, quand'erano di buonumore, lo accecavano, gli tagliavano il naso e lo rinchiudevano in un monastero. Un metodo magari sbrigativo, ma che ha funzionato per oltre un migliaio di anni. A Torino per fortuna è oggi declinato in forme non cruente: anziché eliminare fisicamente il regnante ci si accontenta di sputtanarlo.

Il cattivo necessario

Il caso Picchioni fu esemplare, e vorrei qui ricordarvelo.
Picchioni aveva rotto i corbelli ai barbapapà dell'epoca (c'era ancora Fassino) eppure restava aggrappato alla poltrona come una cozza allo scoglio. Combinazione, a togliere dall'imbarazzo i barbapapà arrivò la magistratura con la nota inchiesta giudiziaria. Seguirono sconvolgenti rivelazioni sugli sciali del Salone del Libro, e altre nefandezze. E tutte, ma proprio tutte, nella narrazione corrente avevano un unico responsabile: Rolando Picchioni. E' quella che i romani definivano "damnatio memoriae".
La banale realtà processuale al momento non ha ancora partorito nessuna certezza sulle reali responsabilità di Picchioni. Ma che importa? Torino corre verso nuovi luminosi destini. E intanto il nemico pubblico numero uno, ormai messo in condizione di non nuocere, è stato addirittura sottratto alla damnatio memoriae e riaccolto nel seno misericordioso del potere, con tanto di poltrona riservata alla presentazione del Salone del Libro 2017
Preciso, a scanso di equivoci: non mi permetto di blaterare su accuse e processi, che sono e devono restare competenza dei giudici. Sono invece ammirato dalla felice concomitanza di certe vicende torinesi e le esigenze di una città e della sua classe politica che per sciacquarsi la coscienza e fare i propri comodi hanno bisogno, di quando in quando, di un cattivo. Il capro espiatorio da sacrificare sull'altare di un mitizzato rigore sabaudo.
Ma nessuno si fa davvero male. Perché i cattivi, quando non serve più un cattivo, possono pure ridiventare buoni. Purché non rompano.


Lettura consigliata: Niceta Coniata, "Grandezza e catastrofe di Bisanzio", Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori Editore.

Commenti

  1. Non posso non commentare un post come al solito ineccepibile. Mi consenta, però, di sottolineare che non è vero che " nessuno si fa davvero male". La " defenestrazione" del Presidente Picchioni è stata ignobile e sicuramente dolorosa. Chi per anni ha offerto impegno, competenza e generosità si è trovato con l'immagine del responsabile di tutte le " nefandezze" che potevano essere accadute nell'ambito del Salone. Solo una persona priva di sensibilità, non può non soffrire, non può non sentire il " male". Il fatto di aver partecipato alla presentazione del progetto del Salone di questo anno, non può cancellare giornate di assedio mediatico, di accuse inverosimili, di "spifferi" che giungevano alla stampa prima che al diretto interessato..., " spifferi" spesso senza alcun fondamento...
    Non si fa davvero male chi muove i fili della " commedia", chi si preoccupa di " defenestrare", chi fa parte integrante del sistema...
    Ha certamente ragione sull'analisi storica di tante eccellenti defenestrazioni.

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