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IL MARCHIO DEL SALONE: UN CAPOLAVORO A PIU' MANI

"Affari di famiglia": nel negozio di pegni di Rick Harrison non sai mai cosa entrerà da quella porta
Insomma, un post sul Salone di 'sti tempi non può mancare. Ma le novità di giornata non mi affascinano. Non quanto la narrazione che si sta costruendo del passato. Ve ne ho parlato l'altro giorno, a proposito della celebre stima del valore del marchio che, secondo la vulgata corrente, "venne commissionata da Picchioni nel 2009 e gonfiata per sanare il bilancio". 
Ora. Di sicuro il valore di 1.850.000 euro attribuito al marchio consentì di fatto alla Fondazione (e cioé a Picchioni) di sanare il bilancio.
Ma il resto della narrazione lo ricordavo diverso. 

Dal cassetto dei ricordi: un'elegante brochure

Così sono andato a scavare negli scatoloni dei ricordi, e ho ritrovato un'elegante brochure patinata dal titolo "La dimensione economica del Salone Internazionale del Libro". Datata dicembre 2009 e - da colophon - "commissionata dalla Fondazione per il Libro", si apre però con una presentazione dove leggo: "La Camera di Commercio di Torino ha promosso la ricerca 'La dimensione economica del Salone Internazionale del Libro' a sostegno della sempre più importante manifestazione a carattere fieristico-espositivo del Torinese compiendo un ulteriore passo avanti nel lavoro intrapreso l'anno scorso con lo studio 'Il valore del marchio della Fiera del Libro. Forza e potenzialità' coordinato da Pier Angelo Biga (Icm Advisors)". L'illuminante dichiarazione è firmata da Alessandro Barberis, all'epoca presidente della Camera di Commercio di Torino. A me sembra che rivendichi e avalli in toto la paternità sia della ricerca sulla dimensione economica, sia dello studio sul valore del marchio.
Segue, nella brochure, un lungo pippone di Picchioni che magnifica le potenzialità del Salone. A conforto delle sue parole egli cita, nell'ordine, "una prima fotografia statistica del Salone... scattata nel 2008 dall'Osservatorio Culturale del Piemonte su incarico della Regione", quindi "nel maggio 2009 la ricerca condotta con il sostegno della Camera di  Commercio che ha stimato in due milioni di euro (e qui arrotonda parecchio... NdG) la quotazione del marchio Salone". 
Volto pagina e trovo una "Introduzione alla ricerca" attribuibile ai realizzatori materiali della ricerca stessa (la Fondazione Fitzcarraldo, "centro indipendente di ricerca e formazione nel management e nelle politiche della cultura") dove leggo di un processo di analisi sul valore commerciale del Salone "avviato dalla Fondazione per il Libro in condivisione con la Camera di Commercio" che "ha già prodotto un primo lavoro di ricerca sul valore del brand". Valore di 1.850.000 eurini che viene riportato trionfalmente in nota, e senza ombra di dubbi. 
Insomma: come al solito quando è in ballo il Salone, ci si misero in tanti.

Un bel lavoro di squadra

Ecco perché mi convince poco la narrazione che fanno passare oggidì del "Picchioni che commissionava". Non c'era un solitario satrapo che agiva nell'ombra, alterava bilanci, falsificava le presenze e turlupinava tante ingenue verginelle. Attorno a Picchioni autorevoli presenze operavano, facevano, commissionavano, e avevano ruolo e modo per controllare e verificare.
Insomma, era una squadra. C'era la Camera di Commercio che condivideva e sosteneva e promuoveva studi e ricerche, c'era la Regione che commissionava fotografie all'Osservatorio Turistico, c'era la Fondazione Fitzcarraldo che sottoponeva questionari al pubblico e realizzava ricerche piene di cifre, grafici, stime e istogrammi. 
Mettiamola così: se Picchioni è riuscito a buggerare tanta gente, per tanti anni, senza che nessuno si accorgesse che li stava perculando tutti, beh, si apre un interessante ventaglio di ipotesi:
1) Picchioni è Diabolik. E tutti gli altri sono l'ispettore Ginko. 
2) Picchioni non è Diabolik. Ma tutti gli altri sono l'ispettore Clouseau. Al che mi domando che cosa ci facessero al vertice di così importanti istituzioni.
3) C'è una terza ipotesi? E allora ditemela, da solo non ci arrivo.
Però non ditemi che la valutazione del marchio "venne commissionata da Picchioni nel 2009 e gonfiata per sanare il bilancio". Da voi mi aspetto molto di più. Abbiamo superato l'età delle fiabe con la trama facile facile.

Non sai mai cosa entrerà da quella porta

Il bello del Salone è che sembra il negozio di Rick in "Affari di famiglia": non sai mai cosa entrerà da quella porta. 
Oggi l'andirivieni è di scarsa rilevanza. Adesso aspettiamo ansiosi il 19, quando sapremo di che vita vivrà il Salone del Libro, e di che morte morrà la Fondazione per il Libro. O viceversa. O magari vivono entrambi. O entrambi muoiono. 
Dicono che forse Banca Intesa lascia anch'essa la bella compagnia, esce dalla Fondazione ma resta come main sponsor: non mi sembra terribile, se esce dalla Fondazione, atteso che la Fondazione potrebbe non esserci più, e a quel punto uscirebbero tutti.

Il Derby delle Signore

Più appassionante mi sembra il Derby delle Signore per la spartizione dei compiti della moritura Fondazione.
Maurizia Rebola, direttrice del Circolo dei Lettori, aspetta notizie - e con lei anche il presidente Luca Beatrice. Non gli hanno ancora detto nulla, e sono in fiduciosa attesa. Secondo me non gli hanno ancora detto nulla perché stanno ad accapigliarsi su chi fa che cosa. Come ho già scritto, logica vuole che il Circolo si occupi dei contenuti, e la Fondazione Cultura dell'organizzazione tecnica e commerciale. Ma la Fondazione Cultura (vabbè, Larotella... vabbè, Appendino...) ambirebbe a prendere in mano il palinsesto del Salone, lasciando al Circolo le scartoffie. E qui gioca a svantaggio di Maurizia Rebola il suo stesso passato: in effetti quando lavorava al Salone era responsabile delle relazioni internazionali e dell'International Book Forum. Ma di sicuro il Circolo, come staff, possiede  più della Fondazione Cultura esperienze e relazioni per costruire il programma di un Salone del Libro. Comunque gli attuali dipendenti della Fondazione per il Libro verranno smistati - oltre che in altri posti comunali - tra la Fondazione Cultura e il Circolo in base alle loro specifiche professionalità: a parte il direttore Nicola Lagioia, è ovvio che gente come Marco Pautasso (il motore del Salone e ancor più del Salone Off), Maria Giulia Brizio (responsabile dell'area ragazzi e giovani) e Pierumberto Ferrero (che si occupa della parte musicale) vada con chi dovrà curare la programmazione, e dunque la linea editoriale, del Salone.
Immagino che di questo si stia discutendo nei palazzi della politica.

Ma nella cabina di regia c'è un regista?

Ma almeno lorsignori parlassero dell'identità del Salone, della sua mission futura, della linea che dovrà tenere per fronteggiare la riscossa di Tempo di Libri. 
Temo che non sia quello il pensiero dominante: altrimenti non avrebbero parlato con tanta noncurante superficialità di una "cabina di regia" destinata a coordinare il lavoro di Fondazione Cultura e Circolo dei Lettori. Dicono che tale cabina di regia dovrebbe essere affidata a Massimo Bray. Beh, ragazzi, Bray è un'ottima persona, un presidente molto decorativo, ma è assente. E invece una cabina di regia vera dev'essere guidata da un culo di pietra onnipresente.
Credo che invece al centro delle elucubrazioni dei politici ci siano soprattutto i conti da far quadrare. I debiti da pagare, in caso di liquidazione. Non ultimo, c'è lo sbilancio di duecentomila euro del Salone 2017: quell'extra budget è stato la marcia in più che è servita per battere Milano, ma adesso il piatto piange. Un piccolo incubo si aggiunge agli incubi del liquidatore prossimo venturo.

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