Passa ai contenuti principali

IL BUIO OLTRE IL SALONE

Bray (destra) tenta di vendere
un'enciclopedia a Di Maio
Ieri non ho avuto voglia di scrivere. Il microclima del Lingotto - giungla del Sud Est asiatico con rimbombo da cascate del Niagara - mi ha stroncato. D'altronde non c'è nulla da dire che non si sapesse già. I torinesi fin dal primo mattino si sono messi ordinatamente in coda per sputare sulle scarpe a Milano, e giuro che in trent'anni di Salone del Libro non ho mai visto un primo giorno tanto affollato: pareva domenica.
Davanti a quel semplice ed evidente fatto, ieri mattina solo un uomo poteva tirar di nuovo fuori la bischerata del "Salone unificato". Ovviamente Franceschini ci ha provato ("Bisogna uscire dallo schema di una competizione tra i due saloni, quello di Milano e quello di Torino"). E il Chiampa gli ha risposto citando suo nonno ("I punti si contano quando le bocce sono ferme", però detto in piemontese suona meglio). Scambio di colpi in diretta, nei discorsi ufficiali dell'inaugurazione, di fronte al presidente del Senato Grasso, alla ministra Fedeli e al vicepresidente della Camera Di Maio, quest'ultimo animato dall'entusiasmo del neofita. Ieri, arrivando al Lingotto, il Killer dei Congiuntivi ha lungamente parlottato con il presidente del Salone (nonché direttore della Treccani) Massimo Bray. Al posto di Bray, io ne avrei approfittato per vendergli un'enciclopedia. Bray non so.
Al pomodorini-show in Sala Gialla nessuno voleva sfigurare. A parte la Fedeli, s'intende, che fa quello che può. Gli altri, nei discorsi ufficiali, si esibiscono in dotte citazioni: Bray cita Papa Francesco e Gramsci, Chiarabella cita Calvino, e Chiamparino cita suo nonno. Così vince per distacco, il vecchio filone. In compenso, a Nic Lagioia va il premio per il miglior incipit (e ci mancherebbe, trattandosi di noto scrittore): "Buongiorno, sono il nuovo direttore del Salone del Libro e non dormo da una settimana". 
La sostanza dei discorsi, invece, è assai uniforme: condensando gli alati concetti sciorinati dagli oratori, il succo è che il Salone è Torino, Torino è il Salone, e gli imitatori possono andarsene affanculo.
Ci prendiamo le nostra rivincite, dopo tanta merda che ci è toccato di trangugiare per tanti mesi. E nei discorsi ufficiali il Chiampa e Chiarabella mostrano i muscoli e fanno la faccia feroce, perché sanno che il loro pubblico vuole così. Ma non arrivano al vaffanculo non solo e non tanto per etichetta politica, quanto perché sanno che, in realtà, abbiamo vinto la partita ma il campionato è lungo, e noi non siamo per nulla i favoriti. Restando nella metafora calcistica, abbiamo la panchina corta. Dove con "panchina" s'intende la vil moneta.
La semplice e amara verità è che il trentesimo Salone del Libro è il risultato di uno sforzo - anche economico - eccezionale. Milano ha toppato perché credeva di vincere facile: capita spesso, ai fanfaroni. Torino ha reagito allo schiaffone rispolverando l'orgoglio sabaudo (o il tremendismo granata, direbbe il Chiampa); come certe squadre provinciali che incontrano la capolista e giocano la partita della vita, rifilandogliene tre. 
Ma il successo - che si profila straordinario - del trentesimo Salone non sarà facile da ripetere. Ieri parecchi addetti ai lavori me lo dicevano, in camera caritatis. Quest'anno non abbiamo badato a spese. Ma c'è il rischio che, al momento di fare i prosaici conti della serva, si scopra che il budget ha ampiamente superato quello delle edizioni passate: e uno sforzo da, poni, quattro milioni di euro (dico una cifra a caso) non è realisticamente ripetibile - tanto per dire, non credo che la Regione potrà confermare anche nel 2018 la straordinaria largizione (1.200.000 euro) arrivata quest'anno a risollevare la pericolante baracca. Come non mi sembrano sostenibili a lungo i prezzi scontatissimi per gli espositori, un altro fattore determinante per la riuscita dell'edizione 2017. Non dimentichiamo infine che quest'anno l'affitto del Lingotto è dimezzato (da 1,2 milioni a 600 mila euro) ma Gl pensa di tornare presto alle vecchie tariffette. Aggiungo un dato politico: Francis ci tiene per le palle, perché i soldi dei ministeri ci servono per sopravvivere e se facciamo i cattivi ragazzi loro non ci pensano due volte a chiudere i rubinetti.
Quindi Chiampa e Chiarabella fanno i sostenuti, però non sbattono la porta in faccia a Franceschini e ai milanesi. Sanno che li aspettano giorni difficili, e di riffe o di raffe saranno costretti a trattare. Per vincere le guerre, diceva Federico II, servono tre cose: soldi, soldi, soldi. Giusto quello che ci manca. E che i milanesi hanno.

Commenti

  1. chiarissimo: un lucido giudizio e una buona visione dell'evolversi storico "metodo Torino", quello adottato per perdere tutto quello che crea

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

L'AFFONDAMENTO DELLA SEYMANDI

William Turner, "Il Naufragio" Cristina Seymandi Tanto tuonò che piovve. Sicché posso abbandonare, almeno per un post, la spiacevole incombenza di monitorare i contraccolpi dell'emergenza virale. La storia è questa. Ieri in Consiglio comunale un'interpellanza generale ( qui il testo ) firmata pure da alcuni esponenti grillini o ex grillini, ha fatto le pulci a Cristina Seymandi, figura emergente del sottogoverno cinquestelle che taluni vedono come ideale continuatrice, a Palazzo Civico, del "potere eccentrico" di Paolo Giordana prima e di Luca Pasquaretta poi . E che, come i predecessori, è riuscita a star sulle palle pure ai suoi, non soltanto a quelli dell'opposizione. L'interpellanza prendeva spunto dell'ultima impresa della Seymandi, la mancata "regata di Carnevale" , ma metteva sotto accusa l'intero rapporto fra costei, Chiarabella e l'assessore Unia, di cui è staffista. Alla fine Chiarabella, nell'angolo, h

LE RIVELAZIONI DI SANGIU: "GRECO NON HA DECIFRATO LA STELE DI ROSETTA". E ADESSO DIREI CHE BASTA

È una storia da dimenticare È una storia da non raccontare È una storia un po' complicata È una storia sbagliata Cominciò con la luna sul posto E finì con un fiume di inchiostro È una storia un poco scontata È una storia sbagliata La ridicola pantomima è finita com'era cominciata, sempre con un tizio che giudica un egittologo senza sapere un cazzo d'egittologia. Il fratello d'Italia laureato in giurisprudenza Maurizio Marrone pontifica che Christian Greco è un egittologo scarso , e - dopo una settimana di silenzi imbarazzant i, strepiti da lavandaie e minchiate alla membro di segugio  blaterate da una scelta schiera di perdigiorno presenzialisti e critici col ciuffo - un altro fratello d'Italia, il giornalista Gennaro Sangiuliano, sancisce che no, Greco è "un apprezzato egittologo" benché - sfigatone! - "non abbia decifrato la stele di Rosetta" (questo è un capolavoro comico, non siete d'accordo?).  Il presidente della Regione Cirio s'a

BASIC BASE

Il nuovo direttore del Tff La  nomina di Giuliobase alla direzione del Torino Film Festival  è ampiamente trattata sul Corriere di Torino di stamattina: c'è un mio modesto commento , ma soprattutto c'è una magistrale intervista al neodirettore, firmata dall'esperto collega Fabrizio Dividi. Vi consiglio di leggervela da cima a fondo (sul cartaceo, o  a questo link ): vale da sola ben più del prezzo del giornale. Ed è talmente bella che mi permetto di estrapolarne alcuni passaggi, che giudico particolarmente significativi. Ecco qui le domande e le risposte che più mi hanno entusiasmato. In neretto le domande, in chiaro le risposte, in corsivo le mie chiose: Emozionato a dover essere «profeta in patria»?  «Ovvio, ma studierò. In questo anno e mezzo studierò e tiferò per Steve Della Casa e per il suo festival, ma sempre stando un passo indietro, con umiltà e discrezione».  Qualcuno lo avverta: l'hanno nominato per l'edizione 2024. Ciò significa che dovrà cominciare a la