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COME HO UCCISO IL SALONE: LA CONFESSIONE DI UN ASSASSINO


Adesso che la farsa s'è risolta, e in attesa di nuovi numeri acrobatici, ragioniamo con calma.
Concedetemi un post molto autoreferenziale. Se com'è giusto non ve ne frega, non leggetelo, e amici come prima.
Vorrei chiarire un punto: non sono io che sono cattivo, sono loro che sono stolti. No, perché adesso verrà fuori (già me lo sono sentito dire) che sono disfattista, nichilista, negativo e voglio distruggere il Salone. Questa è meravigliosa. Allora Gibbon è responsabile del crollo dell'Impero Romano. 
Da tre anni, con questo blog, registro - tra gli altri disastri - anche quelli del Salone del Libro. E in tre anni ho raccontato, nell'ordine (mettetevi comodi, è lunga): 

1) La colpevole inerzia (e spesso l'attiva perniciosità) degli enti locali nell'affrontare le questioni sanguinose dei finanziamenti in ritardo e del contratto jugulatorio con il Lingotto; le frizioni con alcuni potentati editoriali; i ricorrenti allarmi sul dissesto del bilancio.

2) Il rapporto malsano con Gl Events, con intromissioni gravi e continue della politica sfociate nell'inevitabile e infamante scandalo dell'asta truccata.

3) I traccheggiamenti e i ritardi, sempre della politica, nella scelta di un nuovo presidente e di un nuovo direttore all'approssimarsi della scadenza naturale di Picchioni e Ferrero; ritardi che si sono risolti prima in una proroga, quindi in una successione affrettata e macchiata da accuse a Picchioni per malversazioni (ancora non accertate giudizialmente); per non dire della repentina "scoperta" che le presenze erano gonfiate e i conti, sui quali le istituzioni avrebbero dovuto vigilare, in rosso.

4) La una scelta dissennata di affidare la nuova governance a un ticket (Milella e Cogoli) che è scoppiato dopo pochi mesi, lasciando il Salone sostanzialmente senza una guida autorevole e creando un vuoto di potere che ha risvegliato le bramosie degli editori milanesi. Perché il potere non ammette un vuoto, e quando esso si crea viene immediatamente riempito da un nuovo potere.

5) Dopo quel primo disastro (siamo nel settembre 2015), ho raccontato la decisione della politica di non decidere, richiamando in servizio Ferrero per un anno ma senza preoccuparsi di individuare, nel frattempo, un nuovo direttore da presentare entro la fine del Salone 2016; il tutto aggravato dalle incertezze e dai bertoldeschi silenzi sulla riconferma alla presidenza di Milella, e dall'ostinato rifiuto (attribuibile per responsabilità oggettiva alla presidenza stessa) di trovare un accordo inclusivo con gli editori sempre più insofferenti.

6) Nel lungo e triste inverno 2015/16 ho dovuto pure star dietro all'inqualificabile tira-e-molla della "nuova Fondazione", sempre lì lì per nascere, con banche che entravano e uscivano come amanti dagli armadi, e consiglieri d'amministrazione che scappavano come lepri.

7) Mi è toccato anche di essere testimone della spavalderia francese di Gl Events, che si vende il Padiglione 5 fregandosene degli accordi sull'affitto del medesimo, con la più benevola indulgenza della politica; e di raccontare un surreale Salone 2016 all'insegna del "tutto va ben signora la marchesa" mentre si rinviava assurdamente la nomina del nuovo direttore, si discuteva se confermare o meno la Milella, gli editori preparavano il golpe, e dietro l'angolo tintinnavano le manette.

8) Quest'estate (quando avrei avuto di meglio da fare) ho dovuto registrare balbettii ("nuove formule... nuovo progetto..."), fanfaronate (memorabile l'assertivo e lassativo "Lo skyline che si vede dal Lingotto non è paragonabile a quello che si vede da Rho Fiera"), dichiarazioni all'impronta ("Domani nominiamo presidente e direttore", addì primo agosto 2016), strategie strampalate (top dei top, la mitica "call alla partecipazione progettuale" con tanto di indirizzo mail per consentire al popolo di scodellare ricetta salvifiche), parole al vento (vi ricordate? "Batteremo Milano sul tempo, ai primi di settembre avremo un presidente, un direttore e un progetto!", proclamava a fine luglio un altro rimarchevole fenomeno del nostro bric-à-brac amministrativo). Io, nella casa sulla scogliera, prendevo nota: sempre ricordando a lorsignori che, mentre loro banfavano, i milanesi facevano.

9) Ci siamo quasi: quando quel bel tomo di Francis se n'è venuto fuori con la galattica minchiata del Salone unico, ho obiettato che Milano, per sua natura, prevarica su Torino; e che da quel progetto potevamo aspettarci soltanto fregature e calci sui denti; questo mentre i nostri lungimiranti timonieri facevano i possibilisti e i disponibili, proprio come quell'altro bel genio di Chamberlain a Monaco. E mentre minuettavano con una controparte che li trattava apertamente come pezze da piedi, i Chamberlain de noantri si dimenticavano che per fare un Salone ci vuole un direttore; quel direttore che da questa primavera dicono di voler scegliere, e in America ci mettono di meno a scegliere il presidente.

Questo ho raccontato negli ultimi tre anni. Facendo nomi e cognomi, e implorando in nome di dio quei nomi e cognomi di tornare in sé, di smetterla di tavanare, di guardare in faccia la realtà e per cortesia non fumarsi più quella robaccia. 
Avrete notato che, stavolta, non ho messo i link. Francamente non ne ho voglia, questo articolo sarebbe un link continuo. Se quello che ho scritto vi pare incredibile (in effetti, rileggendo tutt'insieme questo scintillante catalogo di minchiate, stento anch'io a crederci), fatevi un clic sulla tag "Salone del Libro" che trovate in fondo al testo, scorrete tutti i risultati e (se non avete di meglio per rovinarvi la giornata) leggete voi stessi, in ordine cronologico, i 264 post che narrano la lacrimevole historia. Vabbè, non voglio essere punitivo: saltatene pure un bel po'. Vi consiglio comunque di tenere a portata di mano una tisana e un blister di Maalox.

E adesso dite: sarei io il disfattista che vuole uccidere il Salone del Libro? Bene, allora me ne vanto. Perché in tal caso sarei l'indegno ultimo di una ben più nobile compagnia di cronisti assassini: Svetonio responsabile dell'incendio di Roma, Procopio istigatore delle devastazioni della Guerra Gotica, Michelet che ha sulla coscienza le stragi del Terrore, per non dire di quel brutto ceffo di Manzoni senza il quale i Lanzichenecchi mai sarebbero calati in Italia.
Certo: ciascuno ha i cronisti che si merita, e i nostri zuavi non meritano niente di più che un Gabo. Ma - come disse Picasso a proposito di Guernica - tutto questo non l'ho fatto io: l'hanno fatto loro.

Adesso, con un tardivo sussulto d'orgoglio, i nostri zuavi hanno deciso di mandare affanculo Aie, Fiera Milano e ministri, e di farsi il Salone a Torino senza chiedere permesso a nessuno. Pertanto, nella mia furia devastatrice, mi prendo l'imperdonabile responsabilità di scrivere - orrore! - che sarà un'impresa disperata; perché Mondazzoli e Gems non verranno, e faranno ostruzionismo; e con ogni probabilità non verranno neppure tanti altri, Feltrinelli in primis; Motta e Fiera Milano premeranno anche sui piccoli perché mollino Torino, rimangiandosi il "patto del Circolo"; e comunque, siamo onesti, un autore di grido che dovesse decidere se presentare in esclusiva italiana il suo nuovo best-seller a Milano o un mese dopo a Torino, secondo voi dove andrà? 
Massì, diciamoci pure che faremo senza le star, e il nostro Salone-Tinello sarà aperto e accogliente e pieno di cultura, idee innovative, sperimentazione, scoperta, eccetera eccetera. A me sta bene: è sempre meglio che ridurci lustrar le scarpe ai bauscia. L'ho scritto e lo confermo: se proprio uno deve morire, meglio morire in piedi che in ginocchio, o in posizioni ancor più imbarazzanti.
Quindi pugneremo come i prodi dell'Assietta. Però cerchiamo di non mettere in scena un'altra pantomima invereconda. Perché il rischio è alto. Intanto le idee innovative bisogna avercele, e invece in anni e anni di spocchiosa sordità i cervelli li abbiamo fatti scappare; e quaggiù girano chiacchiere e distintivi a strafottere, e talenti pochi, e quei pochi non piacciono ai mediocri prevalenti; e spesso ho il sospetto che non abbiamo neppur chiaro cosa vogliamo e dove stiamo andando, e la nostra politica culturale è sempre più confusa, tant'è che Torino è l'unica grande città a non avere più un assessorato alla Cultura - ma di questo mi occuperò prossimamente, potete scommetterci.

Ad ogni modo: ammettiamo che i nostri zuavi rinsaviscano, nominino un direttore come cristo comanda e che alla fine venga fuori il Salone-Tinello più figo del mondo. Perfetto: purché siamo consci fin d'ora che lo sapremo soltanto noi. Triste dirlo, ma così è. Conosco i miei polli. Gli inviati e le tv e il resto del circo andranno a Milano e riempiranno pagine e pagine di giornali e siti e teleschermi; mentre a Torino ci penserà il corrispondente, o le agenzie, e i media nazionali ci riserveranno la rispettosa attenzione di un taglio in cultura il primo giorno, e un fogliettone di varietà il terzo. Vi faccio l'esempio del Torino Film Festival: è senza ombra di dubbio più bello, colto, intelligente, divertente e innovativo della Festa di Roma, e pure della Mostra di Venezia; ma vogliamo confrontare le rassegne-stampa? Questo, signori belli, non è disfattismo: si chiama realismo, e voi non sapete neppure dove stia di casa. 

Però va bene, noi siamo più fighi e faremo un Salone, o un Tinello, più intelligente. E pazienza se lo sapremo soltanto noi: avremo le nostre belle soddisfazioni nei territori tra il Po e la Dora, e le pagine locali dei quotidiani titoleranno "Torino capitale del libro". Sarà un Salone-Tinello stupendo, festeggeremo la trentesima edizione dicendoci bene bravi bis. E poi chissà. Magari qualche miracolato della politica, in mezz'ora di ciance con qualche suo cretino di fiducia, deciderà che non ne vale la pena, e lo lasceranno andare a ramengo.

O invece, e io lo spero con disperazione, il nostro Salone-Tinello sopravviverà fra stenti e paure, e nonostante tutto e tutti crescerà, perché è il Salone-Tinello di Torino, e quindi sarà duro a morire, e coraggioso; e magari, in un attimo di disattenzione della politica, finirà persino nelle mani di qualche meraviglioso e bravissimo incosciente il quale, ignorando che l'impresa è impossibile, la compirà, valorizzerà ed esalterà uomini e idee, e il Salone-Tinello lottando con le unghie e coi denti in una trentina d'anni diventerà più importante di quello di Milano; così fra una trentina d'anni potremo regalarlo ai milanesi. Un po' come diceva un altro disfattista menagramo, tale Ugo, a proposito di "Ilio raso due volte e due risorto per far più bello l'ultimo trofeo ai fatati Pelìdi".
Pelìdi bauscia. 
Ma quella storia lì, spero proprio, non toccherà a me raccontarla.

Commenti

  1. Così cattivello cattivello, ma alla fine se il salone a Torino lasciasse un vuoto sfruttabile da iniziative più "innovative" magari non collegate alle troiche torinesi, non sarebbe un bene?

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    1. Guardi, a me va bene tutto, io sono solo il cronista. Purché qualcuno ce l'abbia, l'iniziativa "innovativa" (parola con cui ci si sciacqua abbondantemente la bocca di sti tempi), e purché funzioni. Purtroppo al momento di poverate solpsistiche autoreferenziali e pippaiole ne vedo in giro a strafottere, di grandi idee pochine. Però aspetto, sempre fiducioso nei miei miei creativi e lungimiranti concittadini. E nel caso esulterò.

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    2. Lasciamo la carta a Milano e proiettiamoci nell'editoria digitale, con tutto quello che ne consegue (quindi, non solo libri ma tutto il mondo che si sta muovendo oggi) Sarebbe un'occasione di rinascita e di successo che Torino si merita!

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    3. Davide e Golia ? ... ma non l'avevano già trasmesso tempo fa con la regia di un certo Samuele ed ancora dipinto tempo addietro da un pischerlo detto Caravaggio ? ...

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  2. non ho ben capito se secondo qualcuno ci sono ipotesi migliori di quelle di farlo, anche in maniera ridotta, ma di farlo.
    dopodichè, io non ci credo che non si riesce ad attrarre editori.... se non si riesce, su una piazza come torino, è una questione di soldi, lobbyes o incapacità.... staremo a vedere

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  3. per me troppo difficile da capire, troppi intrallazzi e interessi, troppa politica, tutto di troppo, per quest'anno lasciamo passare l'acqua sotto i ponti, capiamo gli sbagli dei bauscia, e ci attrezziamo per il prossimo anno

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  4. Torino possiede una "caratteristica" che Milano non potrà mai " scippare".
    Al di là di organizzare un " tinello" accogliente ( rivendico la " primogenitura sul termine, usato in un commento), nessuno è in grado di proporre un evento culturale, legato anche al libro, sfruttando il fatto che Torino fa parte del " triangolo magico"? Dove punta la mano dell' angelo posto sulla Gran Madre di Dio?
    Sarebbe proprio impossibile parlare di Templari, organizzare un evento in collaborazione con le altre città europee? Sono certa che aggiungerebbe a Torino gente da tutta Europa. Poi, se la ricaduta economica riguarderà solo alcune " categorie, come ho letto in qualche commento, sarebbe comunque un vantaggio.

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    1. a questo punto anche un box sulle scie chimiche e il valentino tutto dedicato a magare e lettura delle carte. Sarebbe bellissimo, sì.

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    2. Mancano i " cerchi magici "...
      Io, parlando di contenuti, mi riferivo al genere fantasy, da Tolkien a Dan Brown, da Eco ( Baudolino) alle avventure di Harry Potter ( tanto per non dimenticare la diffusione della lettura tra i ragazzi). E quale città meglio di una città " magica " come Torino può farlo?

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  5. ...finché il Sole
    risplenderà su le sciagure umane.

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  6. Devo purtroppo dire che il mantra dello "stiamo studiando le carte, è tutto molto difficile" è una costante della nuova giunta (l'ho sentito ripetere di persona da vari assessori). I mesi passano, le cose ci vengono sfilate di mano, le innovazioni tardano, ma intanto si studiano le carte, manco fossero "La zingara" di televisiva memoria.

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