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COSULICH, IL BANDO E I BANDITI: UN ALTRO POST SCORRETTO

Sarah Cosulich, direttrice a tempo
Va bene. Volevo starmene un po' in vacanza. Ho resistito lungamente alla tentazione di occuparmi della vicenda di Sarah Cosulich, la direttrice di Artissima la cui conferma è al centro di discussioni che molto mi ricordano quelle su Alberto Barbera al Museo del Cinema. La Cosulich - dopo aver dato eccellente prova di sé - ora dovrebbe accontentarsi di una misera proroga di un anno. Pare che accetti. Sbaglia: al posto suo, li  manderei tutti affanculo.
Quando è troppo è troppo. Questa brodaglia di bandi e sbandamenti mi sta sfrangendo i santissimi. Il post è politicamente scorretto. Non è e non vuole essere un costruttivo contributo al dibattito sulla "nuova classe dirigente": semplicemente non tollero più i vaniloqui della degenerazione egualitaria.

Con la legge non si scherza

Prima di infliggervi un pesantissimo saggio sull'uso e l'abuso dei bandi nel governo della cultura, voglio però fare una premessa molto chiara.
Nel caso di Sarah Cosulich ci sono due aspetti da considerare.
Quello della legalità è il più importante, e riguarda tutte le situazioni analoghe, che dovranno d'ora in poi essere gestite con un criterio unico e non ondivago.
Purtroppo finora ogni singola vicenda ha invece fatto storia a sé. Nel caso di Sarah Cosulich l'amministrazione civica ha una posizione chiara, a favore del rinnovo senza tante ciance. L'assessore Braccialarghe ha detto che per lui Sarah può e deve restare al suo posto. Peccato che proprio il Comune si sia legato le mani deliberando, il 24 marzo del 2014, che per gli incarichi a tempo determinato (è il caso della Cosulich alla direzione di Artissima) negli enti controllati (tipo la Fondazione Torino Musei, quindi Artissima) si applicano le norme del Dlgs 165/2001 sul pubblico impiego: "La prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico".  
Tempi felici: Fassino e Sarah Cosulich
Inoltre, le norme sulla trasparenza prevedono una procedura di evidenza pubblica (ovvero un bando) per qualsiasi incarico. In punta di diritto, non si scappa.
E l'appello al bando non a caso è arrivato, in seno al CdA della Fondazione Torino Musei, dalla Regione ma soprattutto dalle Fondazioni bancarie, Crt e Compagnia si San Paolo: Lapucci e Gastaldo sono persone serie, e non si fanno certo coinvolgere in manovre che potrebbero in qualche maniera risultare illegali.

Bandi per tutti, anche per Christian

In sostanza, i politici si sono intrappolati da soli: si è passati dalla discrezionalità più assoluta a una rigidità che non tiene conto delle particolarità del lavoro culturale. Rebus sic stantibus, non sono possibili eccezioni. Pena contestazioni, ricorsi e altri incidenti. Per fare un altro esempio, anche quando scadrà il contratto del direttore dell'Egizio, l'apprezzatissimo Christian Greco, si dovrà comunque ricorrere a un bando al quale Greco parteciperà, ovviamente vincendo.
Antonella Parigi, assessore alla Cultura
Mi diceva qualche giorno fa un politico che considero intelligente: "Per combattere la discrezionalità più folle, per cui piazzavano anche l'ultimo dei cretini su qualsiasi poltrona, si è creato un sistema tanto rigido che anche Umberto Eco dovrebbe fare un concorso per dirigere il Salone del Libro".
L'unica via per uscirne è cambiare il regolamento, scrivendo una postilla che escluda dalla normale procedura ben determinati incarichi di altissima specializzazione, ai quali si potrà essere chiamati per "chiara fama". Così faranno, me lo ha ancora confermato oggi l'assessore Parigi. Nell'attesa, però, per trattenere alcune straordinarie professionalità alla direzione delle nostre istituzioni culturali dovremo ricorrere a faticosi escamotage, o a bandi pro forma.

A chi non piace Sarah Cosulich?

Questo per la legalità. Ma gli scrupoli di Lapucci e Gastaldo potrebbero non essere l'unico ostacolo alla riconferma di Sarah Cosulich. Non è un mistero che in passato ci siano state differenze di vedute fra la direttrice e i vertici della Fondazione Torino Musei. Normale dialettica, senza dubbio. Ma non sono sicuro - al di là degli ovvi attestati di stima - che la permanenza della Cosulich alla direzione sia pacifica per tutti. Una futura gara pubblica potrebbe avere un esito non scontato. Da quelle parti è già capitato che un bando abbia fatto molto discutere. Secondo me la partita è ancora apertissima.
Ok. Questo è tutto. Il resto sono mie personali opinioni sul sistema delle nomine. Potete anche non leggerle, starete benissimo lo stesso.

La prevalenza del Non Indispensabile

Cerchiamo di capire come siamo arrivati a questa impasse.
Partiamo da un presupposto. "Nessuno è indispensabile" è un'idiozia spacciata per verità di fede da coloro che non sono indipensabili. A cominciare dalla classe politica. 
La classe politica è costituita in larga parte da Miracolati Non Indispensabili. I Miracolati Non Indispensabili soffrono di invidia intellettuale. Sanno di essere mediocri, e sanno che tutti lo sanno. Pertanto odiano quelli migliori di loro, e si sforzano di affermare il loro potere umiliandoli.
E' quindi comprensibile (ma non ammissibile) che si impanchino a dettare regole per imporre la propria mediocrità come principio fondante della gestione di ciò che essi non conoscono, ovvero la cultura.

Un bando per la cappella

Così siamo arrivati al principio che anche in ambito culturale tutti gli incarichi si assegnino tramite bando. Principio di per sé accettabile. Se uno è bravo, è bravo, e il bando lo vince comunque. Ma ciò che conta è la bravura, non il bando. Nel 1418 a Firenze l'Opera del Duomo bandì un concorso pubblico per la costruzione della cupola di Santa Maria Novella. Il concorso ufficialmente non ebbe vincitori, ma i fiorentini affidarono comunque il lavoro a Filippo Brunelleschi. Per loro e nostra fortuna.
Di più: se a Roma nel 1508 avessero fatto un bando per affrescare la Cappella Sistina, capace che lo vinceva Michelangelo. Ma viene da obiettare che Michelangelo, in quanto Michelangelo, non avrebbe partecipato al bando: se sei Michelangelo, te ne stai a casa tua e aspetti che ti chiamino. E se non ti chiamano si fottano, tanto se non ti chiama il Papa ti chiamerà il re di Francia, e il Papa si faccia affrescare la cappella da Teomondo Scrofalo che al bando partecipa di sicuro e magari lo vince pure.
Però Giulio II non era un cacadubbi: chiamò Michelangelo - con tutto che avevano litigato - e gli ordinò di mettersi a dipingere, senza tante storie.

Reciproche diffidenze 

La morale dell'excursus storico-artistico è che Giulio II e i fiorentini del Quattrocento sapevano cosa volevano. L'odierna ossessione per il bando è invece l'imbarazzata risposta del potere alla disistima dei cittadini nei confronti di una classe politica che considerano arruffona, malfida, indifferente al bene comune e attenta solo alle convenienze di parte. Ma è anche il frutto della pavidità e della modestia intellettuale di una classe politica degna dei suoi elettori: indecisa a tutto, ma ben determinata a sgravarsi da ogni responsabilità e al contempo mortificare le eccellenze sull'altare di un bieco egualitarismo. Poi ci sono quelli che sdottoreggiano di cultura senza capirne una mazza, per puro calcolo elettorale: lì siamo al massimo del minimo.
Per sottrarsi all'onere di decidere e di rispondere politicamente delle loro decisioni, tutti costoro preferiscono ricorrere alla foglia di fico del bando. Foglia di fico perché un bando è fatto per essere aggirato e pilotato, se conviene.

Pregi e difetti del bando

Mi si obietterà che alcuni bandi hanno premiato professionisti di valore. Certo. Anche Sarah Cosulich, a suo tempo, la ingaggiarono tramite un bando. Se non sai chi prendere, il bando è l'unica strada percorribile, e può essere un'eccellente risorsa: dipende poi da come ti dice. Se ti va bene, peschi Christian Greco. Oppure peschi Biscione. Oppure decide Franceschini.

Assurdo, invece, è quando hai già chi quel certo incarico lo sta svolgendo al meglio, ma tu fai lo stesso il bando, sennò chissà cosa dirà la gggente. E il bravo direttore, se vuole restare al suo posto, deve partecipare pure lui. A quel punto ci sono tre possibilità: o trucchi il bando e glielo fai vincere comunque (e allora sei disonesto, e che minchia trucchi i bandi per far vincere quelli bravi?); oppure lo vince onestamente (e allora hai perso tempo e denaro per un bando inutile); o non participa perché è pieno di offerte e non ci sta a farsi trattare come uno scolaretto, e tu ti becchi un qualche sola (e allora sei un tafazzi).
A questo punto uno pensa: benissimo, però se uno ha la certezza del posto assicurato si lascia andare, e la sua prestazione ne risente. Ottima obiezione: in tal caso ci vuol poco a mettere alla porta il rilassato, e scegliere un sostituto con nuove motivazioni. Nella vita normale si cambia tutto - casa, lavoro, fidanzati/e - ma quando è utile o necessario. A date fisse si cambiano gli pneumatici e l'olio.

Manager che vince lo si caccia

Imporre per legge incarichi a scadenza e non rinnovabili non garantisce né efficienza, né razionalità. In un'azienda privata, se hanno la fortuna di trovare un manager di valore (quello che funziona, incrementa il fatturato, ottiene risultati) fanno carte false per tenerselo. Se invece non funziona lo cacciano senza attendere la scadenza del contratto. Soltanto l'ente pubblico e la Roma (per ora...) si tengono il manager (o l'allenatore) che non dà risultati. Ma soltanto l'ente pubblico, quando scade il contratto del manager di valore, si pone il problema se confermarlo o meno e gli impone l'umiliazione di sottoporsi comunque a un bando. Ovvero alla verifica burocratica di ciò che ha già dimostrato nei fatti: e cioé che è capace di fare ciò che sta facendo.
Sarebbe semplice e logico, quando si ritiene concluso il ciclo di un manager - dopo uno, quattro o dieci anni, fa lo stesso - dirglielo senza tante gherminelle: grazie, sei stato bravo, ma adesso ciascuno per la sua strada, abbiamo altri programmi. E invece no: o se li tengono a vita (salvo poi accusarli di tutti i mali del mondo), o li cambiano di default, come le mutande.

Meritocrazia e mancanza di merito

Dite che il cambiamento servirà quantomeno a demolire un "sistema" imbalsamato? Mah. Il concetto stesso di "sistema" mi appare nebuloso. Lo denunciano soprattutto quelli che nel sistema non ci entrano: loro dicono perché non c'è meritocrazia; ma talora, conoscendo alcuni soggetti, sorge il sospetto che in realtà manchino di merito. Non certo di autostima.
Il "sistema imbalsamato" è conseguenza semmai dell'indifferenza per i risultati. Un tempo i soldi c'erano comunque e certi dirigenti potevano starsene in panciolle a scaldare le poltrone con i loro inutili culoni. Adesso, grazie al cielo, la trippa è finita e i gatti, se vogliono mangiare, devono agitarsi un bel po'. Certi incarichi non possono più essere una sinecura per vecchi trombati e giovani  servi. Ma neppure c'è posto per dilettanti allo sbaraglio e velleitari acchiappanuvole: il minimo errore di manovra può provocare disastri immani. Il merito e la professionalità sono vitali, altrimenti la barca va a fondo: e il mercato, non un decreto, assicura il ricambio. Quelli bravi girano, sono contesi, li chiamano altrove. E' come nel calcio, via: i campioni sono sempre richiesti, le scartine restano a giocare sui campi minori.
A questo punto, se ci teniamo un coglione che nessuno vuole, il problema è nostro, e si risolve con la rescindibilità dei contratti per scarso rendimento. Imporre per legge non rinnovabilità degli incarichi nella cultura, senza se e senza ma, serve solo a mortificare il merito e a sprecare le eccellenze.

Occhio Sarah, qui finisce che non pagano!

Ultimo appunto. Nel Dlgs 165/2001, dove si parla di proroga dell'incarico per un anno "al solo fine di completare il progetto", c'è anche scritto "ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico". La formula è ambigua. Per "compenso pattuito" potrebbe intendersi quello già versato per il mandato regolare. Una soluzione forfettaria, insomma:  la Cosulich resta un altro anno, ma non prende altri soldi. Questione di interpretazioni. Converrà chiarirsi bene prima: c'è lo spiacevole precedente di Ferrero fregato dalla legge Madia, no? Stai all'occhio, Sarah...

Bonus track: i diktat

Testo unico sul Pubblico impiego (Dlgs 165/2001), articolo 7, capo 6: "Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria: (...) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico".

Deliberazione del Consiglio comunale di Torino del 24 marzo 2014, approvata con 24 voti favorevoli e 2 astenuti: L'ente controllato che intenda conferire incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo, di natura occasionale o a progetto, vi provvede in applicazione dei principi dell'articolo 7 del D.Lgs. n. 165/2001.

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