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FASSINO, TOTO' E IL PALTO' DI NAPOLEONE

Miseria e nobiltà: Totò e il paltò di Napoleone
Siamo messi come in Miseria e Nobiltà, con Fassino nel ruolo di don Pasquale il fotografo che affida il suo paltò (leggi i suoi immobili invenduti) a Totò (ovvero Christillin, Vergnano, Barbera o Asproni, a scelta) perché lo porti allo "charcutier" e ci si paghi il conto della spesa.
Combinazione, la commedia di Eduardo Scarpetta va di scena in questi giorni al Carignano per la stagione dello Stabile. Fantastico. Quando si dice la coincidenza.
Riassumo i fatti: a Fassino mancano dieci milioni che il Comune aveva promesso alle fondazioni culturali (Regio, Stabile, Museo del Cinema e Torino Musei) per chiudere i bilanci del 2013. A pochi giorni dalla fine dell'anno, Fassino e Passoni scoprono che i soldi non ci sono (oh stupore!) perché dovevano arrivare dalla vendita di alcune proprietà del Comune (tipo i parcheggi Gtt) che invece gli sono rimaste sul groppone perché nessuno le ha volute. A questo punto, Fassino dice: "Beh, raga, la pilla non c'è, però guardate, vi dò in cambio degli stabili che valgono molto di più". Insomma, vendetevi voi quello che non sono riuscito a vendere io.
E' un'idea interessante. Suscettibile di suggestive applicazioni. Ad esempio, io devo pagare il saldo della Tares: fanno 100 euro. Io non ho cento euro. Però ho in casa un vecchio vaso, decorato con deliziosi amorini, che mi ha regalato mia zia Waller. Secondo me vale molto di più di 100 euro. Peccato che non mi sia mai riuscito di venderlo, neppure nel più sfigato dei mercatini delle robe vecchie. Perfetto: anziché andare in banca a pagare la Tares, faccio un bel pacco e mando il vaso della zia Waller a Fassino. E siamo pari e patta.

Cultura e mercato immobiliare

I fortunati beneficiari della "donazione Fassino" fanno buon viso a cattivo gioco. Walter Vergnano del Regio ha ricevuto un capannone industriale, e si consola dicendo che è "quasi" riuscito a vendere l'altro capannone, quello che gli rifilarono, sempre al posto dei soldi, due anni fa. Dunque conta di poter piazzare anche questo. In bocca al lupo. Con la crisi che c'è, conosco chi da anni si balocca con capannoni industriali che non solo non riesce a vendere, ma neppure ad affittare con la certezza di riscuotere la pigione.
Dal canto suo Filippo Fonsatti, direttore dello Stabile, è felice che quanto meno gli sia toccato una proprietà in pieno centro, a suo parere più commerciabile. Per Fonsatti, di recente masterizzato in business administration, si prospetta una luminosa carriera da immobiliarista.
Invece il direttore del Museo del Cinema Alberto Barbera andrà in banca a ipotecare la sala del Massimo, che generosamente Fassino gli ha ceduto anzichè dargli il milione e ottocentomila euro che gli spettavano. Per quella sala il Museo non pagava l'affitto, quindi la proprietà dei muri non è neppure un risparmio: l'unico modo per ricavarci qualche soldo è usarla come garanzia di un mutuo. Peccato che sui mutui le banche abbiano la cattiva abitudine di pretendere degli interessi. Da pagare con quali soldi, è un mistero svizzero. Di certo, prima o poi il contante dovrà saltare fuori, sennò la banca si prenderà il Massimo e Barbera i film del Museo andrà a proiettarseli al dopolavoro ferroviario.
E' messa ancor meglio la Fondazione Torino Musei, che dovrebbe ricevere in "dote" (anziché 4 milioni cash) nientepopodimeno che Palazzo Mazzonis, sede del Museo d'Arte Orientale. La sede invendibile di un museo già in crisi. Stanno freschi.
Insomma, sono tempi bui per i responsabili delle fondazioni culturali torinesi. E non saprei proprio come aiutarli, se non appellandomi ancora una volta all'auctoritas di Totò, e sottoponendo ai presidenti-immobiliaristi questo tutorial con i professori Antonio De Curtis e Nino Taranto.
Nel video: i presidenti di due fondazioni culturali torinesi tentano di vendere un bene immobile ricevuto da Fassino

E' chiaro che il gioco non può durare in eterno. Prima o poi, anche i (presuntissimi) "benefici" del paltò di Napoleone si esauriranno, e la miseria resterà. Fassino ha promesso che dall'anno prossimo le cose cambieranno, e anche la cultura sarà finanziata come spesa corrente - e non in conto capitale, con risorse avventurosamente reperite (quando va bene...) all'ultimo minuto, e per il rotto della cuffia. Ma bisognerà vedere in che condizioni saranno le casse del Comune: ora oggettivamente sono messe malissimo, anche - direi soprattutto - per ragioni indipendenti dalla volontà fassinesca. Di sicuro il piatto piange. Piange anche l'assessore al Bilancio Passoni. Ma lì, per quanto riguarda la cultura, mi pare un po' un chiagne e fotti. Passoni - ipotizzo così, a naso, senza avergli mai parlato - non  mi sembra abbia sulla cultura la stessa idea che sostiene di avere Fassino.

Sostiene Fassino

Già, perché Fassino ad ogni piè sospinto afferma che la cultura è "un asset strategico" per la sua amministrazione, e ribadisce che l'offerta culturale in questi suoi anni non solo non si è ridotta, ma addirittura è aumentata. Immagino si riferisca al mai abbastanza lodato Torino Jazz Festival. Quelle sì che son cose.
E' vero, abbiamo perso decine di piccole rassegne e festival, lo Stabile ha rinunciato a Prospettiva, Torino Danza è una larva, a MiTo hanno ridotto i fondi (presumo per finanziare il Jazz Festival...), i teatri chiudono (ultimo caso la Cavallerizza), le biblioteche annaspano, Film Commission non ho più capito se riceverà lo stesso contributo dell'anno scorso o se glielo taglieranno, quasi ogni giorno mi arriva notizia di qualche operatore culturale che getta la spugna e chiude bottega. Ma Fassino dice che la cultura è un asset strategico e che l'offerta culturale è aumentata, e io non voglio fare arrabbiare Fassino. Perché Fassino si arrabbia moltissimo se qualcuno dice che a Torino la cultura è un briciolo in crisi. Purtroppo lo dicono in tanti, anche tra i suoi compagni di maggioranza, e di conseguenza Fassino si arrabbia tanto, in questo periodo. Io preferirei che non si arrabbiasse, e dicesse onestamente ciò che sappiamo tutti: cioé che mancano i soldi, e alcune rinunce sono inevitabili. E' triste lo stesso, ma fa meno girare i cabasisi che la gag del paltò di Npoleone. Poi si ragionerà sulle rinunce: io, se non si fosse capito, rinuncerei volentieri al Jazz Festival. Ma se ne può discutere.

C'è un nuovo assessore in città

Quanto all'assessore alla Cultura Braccialarghe, è chiaramente a disagio. Uomo intelligente, vede il crollo ma per disciplina di giunta deve abbozzare e escogitare improbabili iniziative a costo zero. Inoltre, patisce il confronto con il collega della Regione Coppola, che in qualche modo i conti è riuscito a farli quadrare; e con le fondazioni bancarie (SanPaolo e Crt) che un po' di soldi li hanno ancora, e li spendono bene, e in ultima analisi fanno direttamente la vera politica culturale della città - pensate alle Ogr, per capirci.
Negli ultimi tempi il disagio di Braccialarghe è tangibile. E' scontento, patisce l'impotenza, le ristrettezze e pure le critiche che gli piovono addosso, e si domanda se gliel'ha ordinato il medico di prendersi 'sta gatta da pelare. Non credo si dimetterà, ma se lo facesse avrebbe tutta la mia solidarietà. Ho l'impressione - mia personalissima - che l'assessorato alla Cultura in Comune sia commissariato: forse hanno deciso di seguire (senza dircelo) il modello della Provincia, dove la Cultura è stata accorpata al Bilancio. Se accettiamo l'ipotesi che Gianguido Passoni sia oggi il vero assessore alla Cultura di Torino, l'intera faccenda avrebbe un senso. Sinistro, certo. Ma l'avrebbe.

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