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CULTURA: IL CERTIFICATO DI MORTE

Piccoli uccelli volarono strillando sul vortice ancora spalancato; una lugubre bianca schiuma batté contro i lati scoscesi della Pequod; poi tutto sprofondò, e il grande sudario del mare continuò a ondeggiare come aveva ondeggiato cinquemila anni addietro (Herman Melville, "Moby Dick, ovvero la balena")

L'agile prospetto dei contributi per la cultura distribuito oggi dall'assessore Leon in Commissione
Sì, poteva andare decisamente peggio.
Potevano arrivare le cavallette.
Poteva scoppiare la guerra termonucleare.
Potevano suonare le trombe del giudizio.

Oggi l'assessore Leon ha presentato in Commissione le voci del bilancio 2017 riguardanti la cultura.
Non c'ero. Avevo qualcosa di ben più importante da fare: insegnare ai giovani, dato che per gli adulti non c'è più nessuna speranza.
E poi non mi piacciono i funerali.
Non vi riferirò quindi ciò che è stato detto oggi in Commissione cultura. E credo che la storia del pensiero occidentale non ne soffrirà punto.
Mi hanno però mandato copia dell'agile fascicoletto nel quale l'assessore alle Fontane ha condensato il certificato di morte del sistema culturale torinese.
Lo stanziamento complessivo del Comune per questo settore del tutto accessorio scende dai 24 milioni e 965.280 euro del 2016 ai 18.278.314 del 2017. Di questa cifra, la quota riguardante il "sostegno agli enti" - i soldi per i musei, i teatri, il cinema, i festival la musica, le mostre e quant'altro faceva cultura in questa città - cala (come si legge in tabella) da 22.271.343 euro nel 2016 a 15.994.571 euro nel 2017. Circa il 28 per cento in meno.
Come previsto.

Tutti giù per terra. Tranne il Regio

La batosta peggiore la becca la Fondazione Torino Musei, che scende da 6,8 milioni nel 2016 a 4,95 nel 2017. Presumo a espiazione dell'atavico peccato delle code. Al lucro cessante di un milione e 805 mila euro in meno anno su anno, si aggiunge infatti il danno emergente della bolletta del riscaldamento, da quest'anno a carico della Fondazione, come vi ho spiegato in apposito post.
Sono messi bene anche il Museo del Cinema (da due milioni a un milione e mezzo) e lo Stabile che crolla da 2,9 a 1,8 milioni: ma nessuno ne esce senza ferite truculente; ad eccezione del Regio, che addirittura guadagna centomila euro, e del Salone del Libro che conserva i suoi 700 mila.

Le gag per farsi due risate

Ci sono piccole perle deliziose, in questo prospettino: ad esempio, il Polo del 900 che si vede cancellare integralmente il contributo di 215 mila euro, però continueranno a pagargli le bollette. Oppure il Museo Egizio: l'idea del Comune era di togliergli l'intero finanziamento di 250 mila euro, poi si sono accorti che con il nuovo Statuto se non pagavano qualcosa li cacciavano dalla Fondazione, per cui in extremis gli hanno assegnato una bella cinquantamila euri di consolazione. Per fortuna l'Egizio non tiene bisogno, ma ammetterete che è una figuraccia da pitocchi.
In compenso il Pav recupera quasi per intero i ventimila euro che aveva perduto con Fassino. Son soddisfazioni.

Spesa corrente e conto capitale


Poichè quel che è giusto è giusto, anche nei casini, sottolineo un aspetto positivo, ovvero che rispetto all'anno scorso è calata la cifra in conto capitale (tossico e incerto), passata da 13,5 a 12,1 milioni. Peccato che sia un effetto della riduzione complessiva della spesa, perché la parte in spesa corrente è percentualmente calata molto, ma molto di più. Spaventa in particolare che la dotazione in conto capitale della Fondazione Musei passi dai 500 mila euro del 2016 ai quasi 3,3 milioni del 2017. Insomma: prende meno soldi, e quei pochi sono meno garantiti.

Di chi è la colpa?

Riporto scrupolosamente anche le motivazioni addotte per spiegare la falcidia: in sostanza è colpa di Fassino, che ha investito nei grandi eventi (per la verità spesso sponsorizzati, ma questa è un'altra storia dolorosa) trascurando la cultura di base e la manutenzione delle strutture, che ora sono "fatiscenti" e necessitano di urgenti manutenzioni. In effetti vedo in tabella uno stanziamento di 40 mila euro per la manutenzione straordinaria della Casa Teatro Ragazzi. Sono inoltre previsti il restauro delle facciate sull'esedra dei Quartieri Militari con 800 mila euro di fondi FESR risparmiati dai lavori di ristrutturazione del palazzo che adesso ospita il Polo del 900 (quindi, soldi che già c'erano); la manutenzione di vari edifici d'interesse culturale per un totale di 800 mila euro da finanziare con un nuovo mutuo (quindi, soldi che ancora non ci sono); e la manutenzione dei tetti del Borgo medioevale con 970 mila euro da finanziare, scrivono gli allegri potatori, "con fondi privati, possibile ricorso all'Art Bonus" (quindi soldi che non ci sono e forse non ci saranno mai).
E comunque, dicono gli aedi di questo bel bilancio, anche Fassino tagliava. Certo. E anche lui sfanculavo, se è solo per questo. Non mi pento d'aver sfanculato lui, non mi pentirò certo di sfanculare chi taglia come e più di lui.
Inoltre si sottolineano i 610 mila destinati all'acquisto di libri (con Fassino si stava allo zero spaccato) e l'aumento della dotazione per il Sistema Teatro (più 118 mila euro): ma con la ristrutturazione del Sistema Teatro aumentano le bocche da sfamare e quindi alla fine della fiera ci saranno più soldi per tutti, ma pochissimi per ciascuno. Quanto ai libri, con 610 mila euro si comprano - a un pezzo di copertina medio di 15 euro - circa 40 mila libri. Non mancheranno le letture; purché non manchino i lettori.

Il pane d'Ucraina

Il volantino lanciato da Gabriele D'Annunzio su Vienna il 9 agosto 1918
Quando Gabriele D'Annunzio, in piena Grande Guerra, volò su Vienna, lanciò dei manifestini dove stava scritto: "La vittoria decisiva è come il pane dell'Ucraina: si muore aspettandola". Al tempo, infatti, il moribondo Impero Austroungarico illudeva i sudditi ormai alla fame promettendo una vittoria certa e l'arrivo di fiumi di grano dalle fertili terre dell'Ucraina d'imminente conquista. Imminente, beninteso, nelle fantasie malate dei generali.
Novantanove anni dopo il volo su Vienna di Gabriele d'Annunzio, il sindaco e Appendino rassicurano i cacicchi della cultura torinese, alla canna del gas, con la promessa che tutti i contributi saranno ripristinati non appena arriveranno da Roma i celebri 61 milioni che a detta dell'amministrazione civica il governo deve a Torino. In realtà, ogni giorno che passa quei 61 milioni appaiono vieppiù fantasmatici. Ho recuperato in rete un interessante fact checking dell'agenzia Agi, che sottopongo al vostro prudente apprezzamento copiandolo in calce a questo post.
Tutto sommato, temo proprio che per la cultura torinese quei 61 milioni siano come la vittoria e il pane d'Ucraina per i sudditi di Cecco Beppe: si muore aspettandoli.

Bonus track: il fact checking sui 61 mlioni (fonte: Agi, 4 aprile 2017)

Chiara Appendino, sindaca di Torino del M5S, ha dichiarato di voler chiedere al governo Gentiloni 61 milioni di euro che sarebbero dovuti al suo comune. Questa intenzione, ribadita in un’intervista alla Stampa il 25 marzo, ha provocato il 2 aprile scorso la risposta in TV di Maria Elena Boschi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, secondo cui quei soldi non sono stati dati perché in realtà non dovuti.
La polemica è proseguita con la replica del sindaco torinese: «Non lo dice Chiara Appendino che quei 60 milioni spettano a Torino, ma due sentenze, una del Tar e l'altra del Consiglio di Stato. Gli esiti delle due sentenze dei giudici amministrativi certificano la correttezza dei calcoli effettuati dai nostri uffici».
Chi ha ragione tra le due?
La questione è garbuglio giuridico e amministrativo di difficile comprensione. Il problema nasce dal passaggio tra Ici a Imu di qualche anno fa. Si può dire che la Appendino abbia più torto che ragione: le carte processuali non dicono che Torino sia creditrice proprio di 61 milioni, anche se sicuramente lo Stato ha compiuto un errore in passato, e saranno necessari altri passaggi, giuridici o politici, per venirne a capo.
La questione fu sollevata nel 2013 dall’allora sindaco Fassino con un ricorso al Tar, che si concluse con la sentenza n. 04878/2014, confermata poi a novembre 2015 dal Consiglio di Stato. Le pronunce dei giudici amministrativi certificano che:
a) all’epoca del governo Monti – per rimediare a lacune nella contabilità pubblica – si fecero conti sbagliati nel passaggio da Ici a Imu, e che questi conti svantaggiarono alcuni Comuni;
b) fu sbagliato anche far pagare l’Imu ai Comuni per gli immobili di loro proprietà;
non si esprime però su quanto, di preciso, spetterebbe al Comune guidato dalla Appendino.
I criteri di calcolo errati del governo Monti
La sentenza che vede il Comune di Torino coinvolto ricalca sostanzialmente una precedente sentenza, sempre del 2015, che coinvolgeva l’Anci, cioè l’associazione che raccoglie i Comuni italiani. In base ad essa, sono state annullate le note metodologiche e i provvedimenti in base ai quali erano stati disposti i trasferimenti errati da Stato a Comuni (esito ribadito anche nella sentenza su Torino).
E dunque, che cosa succede a quei soldi? Le sentenze, sia quella che riguarda l’Anci che quella che riguarda Torino, chiedono che – a totale invariato – le somme siano redistribuite, stavolta facendo i conti giusti.
Il governo sostiene – qui in un lungo post su Facebook del consigliere economico della presidenza del Consiglio, Luigi Marattin – di averlo fatto già dopo la prima sentenza (Anci, 2015), con la Legge di Bilancio 2017 del governo Renzi e con il decreto ministeriale firmato un mese fa dal governo Gentiloni, ora “in corso di registrazione alla Corte dei Conti”.
Anzi, il governo si intesta anche il merito di non aver tolto a chi aveva ricevuto troppo per dare a chi aveva ricevuto troppo poco, ma di aver solamente compensato i torti subiti senza però togliere niente a nessuno. Il vincolo del “totale invariato”, che limita il giudice amministrativo che non può sostituirsi al legislatore, non opera infatti nei confronti del legislatore, che ha discrezionalità politica e può quindi, in concreto, spendere di più.
Ma questa operazione avrebbe riguardato solo gli errori del punto a), gli errori di calcolo, che per il Comune di Torino – come sostenuto dal Comune stesso nella sua memoria presentata al Tar – pesano per una somma “modesta”, di circa 400 mila euro. Resta fuori la questione dell’Imu pagata dal Comune sui suoi stessi immobili.
L’Imu pagata dal Comune sui suoi stessi immobili
Come certificato dalla sentenza del Tar, ai Comuni spettano anche i rimborsi per le cifre ingiustamente pagate per l’Imu sugli immobili di loro proprietà (punto b). Con questi, si arriverebbe alla cifra di 61 milioni che chiede la Appendino.
Come conferma il Comune di Torino, da noi sentito, 21 di quei 61 milioni sarebbero la differenza rispetto al 2012 che lo Stato avrebbe dovuto dare indietro, ma che invece non ha restituito. Gli altri 40 sarebbero invece 10 milioni per ciascuno degli anni successivi, dal 2013 al 2016. Secondo il Comune piemontese, lo Stato avrebbe dovuto dare 10 milioni in più all’anno se avesse correttamente evitato di tenere conto della rendita catastale degli immobili comunali ai fini della quantificazione del gettito Imu.
Che cosa dice la sentenza
Torniamo alla sentenza. Per quanto riguarda i 21 milioni, come certifica il Consiglio di Stato e come rivendica il governo, essi sono stati dati nel 2013 (anche se secondo i giudici rimane un problema tecnico sulle modalità, il che avrebbe dato fondamento giuridico alle lamentele del Comune). Per quanto riguarda i 10 milioni all’anno dovuti per il periodo 2013-2016, la sentenza non ne parla esplicitamente, riferendosi solo al 2012.
Il Tar, confermato dal Consiglio di Stato, scrive infatti: “ferma restando l’attuale dotazione del FSR [Fondo sperimentale di riequilibrio] […] i Ministeri intimati dovranno procedere a rideterminare le necessarie compensazioni e variazioni nelle assegnazioni da federalismo municipale per l’anno 2012 […] nonché ad effettuare i conseguenti conguagli rispetto alle somme già assegnate”.
La necessità, ribadita dai giudici, che i fondi statali da cui le somme vengono attinte restino invariati non è di buon auspicio per le richieste avanzate dal Comune piemontese.
Come si anticipava, la questione è molto più complessa di come l’abbiamo descritta e prevedibilmente sulla questione faranno chiarezza altre future sentenze. Il governo si è oltretutto già detto disponibile a cercare una soluzione concordata.
Il sottosegretario Boschi ha infatti, contestualmente al rifiuto di dare immediatamente i 61 milioni, affermato che “vi sono alcune peculiarità che riguardano Torino che volentieri possiamo affrontare in sede di tavolo tecnico in qualsiasi momento”.
Anche il ministro Delrio, il giorno seguente, ha dichiarato: “Non so se siano giusti o sbagliati i 61 milioni chiesti da Torino, ma il riconoscimento ufficiale di quell’istanza c’è stato, mi sembra chiaro. Il governo Monti aveva sbagliato i conti, fare ricorso è stato un elemento di giustizia. Ora credo che il presidente dell’Anci e la sindaca di Torino possano serenamente cercare un accordo con il sottosegretario Boschi”.
Ad oggi si può comunque dire con certezza che sia falso che le sentenze di Tar e Consiglio di Stato citate dalla Appendino dicano che al Comune di Torino spettino 61 milioni di euro.
Il Comune di Torino per il 2017 ha previsto, secondo il bilancio da poco chiuso dalla nuova giunta, entrate per 1.276 milioni di euro. Ottenerne altri 61 significherebbe aumentare le proprie risorse di poco meno del 5%.



Commenti

  1. Che depressione...
    Io trovo che il prospetto non sia tanto agile...e bruttissimo

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    1. Lei sta scherzando, immagino. Non vorrei dover spiegare che "agile" è un termine ironico.

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  2. Il Museo Diffuso della Resistenza è stato direttamente dimenticato e nemmeno inserito nella lista..devo quindi cercare un altro lavoro?!

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    Risposte
    1. Temo di sì. Ironia macabra a parte, presumo che venga considerato nella "partita" del Polo del 900 (al quale pagano le bollette, 190 mila euro). Inoltre vi restaurano la facciata sull'esedra, con 800 mila euro finanziati con fondi F.E.S.R. In bocca al lupo.E massima solidarietà.

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