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GABO JONES NEL TEMPIO PROIBITO

Lusso, spazio e voluttà: l'ampio salone che ospita le segretissime riunioni della Spectre, la misteriosa confraternita vietata ai non adepti
Lo sapete: avrò tanti difetti, ma sono di parola.
Come promesso, oggi sono entrato nel tempio proibito della Commissione cultura della Regione.
Non sono riuscito ad assistere alla liturgia segreta, però ho visto l'ampia e bene illuminata Sala Morando al secondo piano, che ospita i riti misterici, e prima di essere cacciato ho posato le mie esauste chiappe su una delle confortevoli poltroncine in similpelle che attendono invano di accogliere gli spettatori della sacra rappresentazione.
Ma andiamo con ordine.
Ieri sera controllo il calendario delle Commissioni regionali e constato che quella per la cultura è convocata per oggi alle 13. Il tema è pure interessante: provvedimenti per l'editoria locale. Mitico.
Fedele alla parola data, rinuncio al pranzo e alle 12,55 mi presento in sede, in via Alfieri. In portineria mi domandano gentilmente dove desidero andare. Lo dichiaro. Mi domandano se sono "un loro collega" (qualsiasi cosa ciò significhi). Mi dichiaro giornalista, e presento regolare tesserino. Lo compulsano e quindi, soddisfatti, mi consegnano un pass e mi fanno entrare: "Secondo piano!".
Dribblo indisturbato il metal detector, sicché non mi intercettano la mitraglietta Uzi che come ognuno ben sa porto sempre con me, prendo l'ascensore e salgo al secondo piano, dove incrocio due signore: "Scusino, la Sala Morando?".
"Là in fondo".
Vado là in fondo.
Marco Grimaldi (Sel)
La Sala Morano è grande e semideserta. Un unico, solitario consigliere che non conosco siede al vasto tavolo ovale.
Mi accomodo su una delle sullodate poltroncine contro la parete.
In quella entrano Antonella Parigi e il consigliere Marco Grimaldi (Sel).
"Gabo, sei riuscito a imbucarti!", celia Antonellina. Le rispondo serio che ci mancherebbe altro che mi imbuco in casa mia.
"Tanto hai rotto che ti hanno fatto entrare", ricelia Antonellina. Replico che non ho rotto niente e nessuno: ho chiesto e mi hanno fatto entrare. Com'è giusto, dato che sono io che pago il baraccone.
Antonellina e Grimaldi ipotizzano che io abbia ottenuto da qualche consigliere una lettera di delega (qualsiasi cosa ciò significhi) o una nomina a esperto (sì, esperto... in minchiate, certo). Li informo che non ho nessuna delega né nomina: la mia delega e la mia nomina sono il mio certificato elettorale e il mio 730.
A questo punto Antonellina fa una cupa previsione: "Ti butteranno fuori".
Replico che aspetto a piè fermo.
Intanto sono sopraggiunti altri consiglieri. Non mi pare di conoscerli. Se ne stanno in fondo alla sala e confabulano fra di loro. Ogni tanto mi lanciano un'occhiata sguincia. A me scappa da ridere. Pare un film.
Alle 13,15 mi abborda una signora con un maglioncino verde mela. "Possiamo parlare fuori?", mi dice educata. Annuisco. Usciamo. Ci seguono Marco Grimaldi e un altro signore che indossa un austero maglione grigio. Sul momento non lo riconosco.
Francesca Frediani (M5S)
Appena usciti, la signora - che si qualifica come Francesca Frediani del M5S, per l'occasione presidente della Commissione cultura in assenza di Daniela Valle, titolare della licenza - mi dice: "Ho l'ingrato compito di dirle che non può assistere alla seduta".
"Ah - dico io.  - E perché?".
La signora mi mostra un foglio. Meravigliosi: si sono stampati il regolamento. "Perché il regolamento non lo consente".
"E perché?", mi incuriosisco io.
C'è un attimo di imbarazzo. La signora premette che "loro" hanno più volte tentato di modificare il regolamento, e quindi parte nel riassunto delle ultime traversie del regolamento. Le faccio cortesemente notare che le conosco benissimo. La signora, dopo avermi ricordato che "i verbali sono pubblici" (sì, te li raccomando, i verbali...) ribadisce che "loro", come parte politica, sono convinti che le sedute dovrebbero essere pubbliche. Me ne compiaccio e le domando chi si oppone a tale elementare concetto democratico.
Interviene Grimaldi e mi spiega: si è ritenuto, dice, che nella fase legislativa rendere pubblici i vari passaggi di una legge, mentre prende forma, potrebbe in qualche modo influire negativamente sulla formazione della legge stessa.
Rispondo che mi pare ragionevole. Però, aggiunge Grimaldi, alcune forze politiche - tra cui la sua - hanno proposto di rendere pubbliche tutte le sedute non legislative: quelle, in sostanza, in cui si discutono interpellanze, informative, ordini del giorno.
"Ecco - dico - questo mi basterebbe. Chi è contrario a questa logicissima modifica del regolamento?".
Sulle prime mi rispondono che secondo gli uffici regionali ci sarebbe un problema di capienza della, per cui non ci sarebbe posto per il pubblico. Guardo l'immensa sala deserta, ben più grande di quella che ospita le pubbliche sedute dalla Commissione comunale, e faccio una smorfia che significa "dai, non perculiamoci...". 
Grimaldi aggiunge: "C'è la contrarietà di un pezzo del gruppo di maggioranza relativa...". Tutti guardan sottecchi il signore con il maglione grigio. Me lo presentano come portavoce del Pd.
Chissà perché, me lo immaginavo.
Domando al signore col maglione in grigio i motivi della loro contrarietà. Il signore col maglione in grigio riparte a spiegarmi che il regolamento eccetera. Gli dico cortesemente che il regolamento lo conosco benissimo, e per favore mi spieghi i motivi della loro contrarietà. Il signore con il maglione grigio risponde ciò per broca: "Se lei conosce il regolamento capirà che presentarsi qui e pretendere di assistere alla seduta sa di provocazione". 
Rispondo che ho i capelli bianchi e non ho né tempo né voglia di giocare o di fare il provocatore. (Parte non detta: "Cazzo, hai una bella faccia. Chiedo di esercitare un mio diritto e tu mi dai del provocatore. Ma quando intaschi i soldi che caccio io, non ti pare provocatorio, eh tipo?"). 
"Mi spieghi cortesemente i motivi della vostra contrarietà", insisto, com'è mio dovere professionale e mio diritto di contribuente.
"Io le ho spiegato i motivi regolamentari - replica il signore con il maglione grigio. - Non è questa la sede per approfondire le motivazioni politiche: ritarderemmo l'inizio dei lavori della commissione".
"Va bene - opino io. - Ne parliamo poi. Può darmi il suo numero, così la chiamo?" (Parte non detta: "Ma ricazzo, hai un coraggio da leone: un cittadino e un contribuente, e non importa se giornalista, ti chiede conto di come svolgi il lavoro che ti ha affidato e per cui ti paga, e tu dopo avergli dato del 'provocatore' gli rispondi che non hai tempo? E avete pure il coraggio di piazzare la parola 'democratico' nella ragione sociale della vostra bottega? Ma stocazzo di stocazzo, ti rendi conto che dovresti dirmi 'grazie di esistere' e 'al suo servizio, generoso e bel signore', altro che 'non è questa la sede'? Sono io che pago, e sono io che decido la sede e tutto il resto, porco di questo mondo che ci ho sotto i piedi!").
Andrea Appiano (Pd)
Il signore con il maglione grigio fa il vezzoso: "Non mi piace parlare al telefono di queste cose" (Traduzione mia: "Già, parliamo al telefono e tu magari registri così io non posso smentire le eventuali minchiate che mi potrebbero sfuggire". Mio pensiero: "E chissenefrega"). 
Ma voi mi conoscete, vero? Sono un ragazzo accomodante. Per cui gli rispondo, disponibile oltre ogni logica: "Bene, allora mi dia il suo numero così la chiamo e combiniamo per vederci di persona". 
Lui mi dà il numero di "un suo assistente" perché, spiega, "sono quasi sempre in aula (Pensiero mio: "Un'altra vittima del dovere...") e potrei non rispondere".
Bene, me ne vado. Prima di salutare la bella compagnia, domando il signore con il maglione grigio come si chiama. "Andrea Appiano - mi risponde - ma ci conosciamo già".
Diomio che figura, ha ragione. Ma anch'io soffro di prosopagnosìa. E con un maglione normale non lo avevo riconosciuto.

Post scriptum per i dipendenti sornioncelli

Ritornerò.

Commenti

  1. Stavolta ti stimo come uomo e come giornalista, non credo avrei mai resistito a far casino. Hai tolto ogni dubbio sulla definizione di oligarchia

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