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PRONTO, SALONE? NON DISTURBATEVI, CE NE ANDIAMO NOI

E tenete presente che, mentre noi discutiamo, il giovanotto qui rischia la pelle...
Vi ho detto come la penso sulla storiaccia dell'Arabia Saudita al Salone. Però a me le storie (e pure le storiacce) a metà non bastano. Quindi ho provato a ricostruire come sono andate le cose. 

Partiamo da maggio: l'annuncio e le proteste

Le cose sono andate in maniera strana, se ci pensate. Insomma: a maggio, durante il Salone, il presidente Picchioni annuncia che il Paese ospite 2016 sarà l'Arabia Saudita. Ovvio che lo fa dopo avere informato i soci fondatori, ovvero Fassino e Chiamparino, e averne ricevuto l'assenso.
Insomma: sono tutti adulti e vivono nel mondo. Sanno pure loro che il Regno saudita non è la Svezia. Si saranno fatta la domanda, e data la risposta. Avranno previsto le polemiche, e deciso di andare avanti comunque. Una scelta. Forse discutibile. Ma legittima. C'è una logica.
E' il seguito che non si spiega. 
Scoppiano subito le polemiche, perché l'Arabia Saudita è un paese che se ne sbatte dei diritti umani. Sai che scoperta. La risposta della politica sul momento è questa: "Negando all’Arabia Saudita il  diritto di essere ospitata si nega pure alla cultura il suo compito lenitivo di evitare la radicalizzazione dello scontro". Traduzione: li invitiamo perché così loro si ravvedono e licenziano il boia. La frase è attribuita all'assessore Braccialarghe, ma il concetto è condiviso dai vertici di Comune e Regione.

L'ora del cerchiobottismo

Però in quei giorni al Salone c'è il cambio della guardia: al posto di Picchioni viene nominata Giovanna Milella, che nelle sue prime dichiarazioni si affretta a precisare: "Non sono contraria tout-court al fatto che si possa dedicare allo Stato saudita l’evento del prossimo anno, però bisogna pensarci bene: di fronte a un Paese che non garantisce quelle libertà a cui molto teniamo in Occidente, possiamo scegliere tra due atteggiamenti. Uno è quello di chi ritiene l’accoglienza stimolante, per noi ma anche per loro: è un modo per innescare processi democratici. Altri preferiscono chiudere le porte e attendere che qualcosa si smuova laggiù. Io prima di scegliere voglio esaminare l’ipotesi Arabia Saudita con il direttore e con il CdA. Potremmo anche ospitarne due di Paesi, le formule si possono cambiare e arricchire". Insomma, cerchiobottista subito.  
Va detto, per completezza d'informazione, che la confusione in quei momenti era immensa, e se ne sentivano di tutti i colori. Girava persino la voce (presumo frutto di abusi di sostanze) di un invito collettivo ai "paesi arabi". Era troppo grossa, così non indagai se era prevista la presenza dei caschi blu.

Flashback: la lunga marcia dei sauditi

Ma come si è arrivati a scegliere proprio l'Arabia Saudita come Paese ospite? Torniamo indietro di tre anni. Il primo passo, mi dicono, è dell'Arabia Saudita, che si fa viva con il Salone chiedendo di essere invitata per l'appunto come Paese ospite, come peraltro risulta da una lettera (agli atti) dell'incaricato d'affari saudita. Dunque, sono loro a chiedere, non è il Salone che li invita; di conseguenza, adesso non c'è nessun invito da ritirare.
Ma se anche fosse stato il Salone a cercare un contatto, la sostanza non cambierebbe. L'arrivo di un espositore del peso dell'Arabia Saudita è un buon colpo, a non essere troppo schizzinosi sulle questioni morali: apre orizzonti e mercati, favorisce confronti culturali, e - by the way - i sauditi avranno uno stand bello grosso, quindi pagheranno un affitto bello grosso, tanto loro i soldi li hanno. Quanto ai diritti umani, transeat: a fargli le pulci, pochi Stati son farina per fare ostie. Il Salone ha già affrontato e superato una crisi analoga nel 2008 quando fu ospite Israele; e nel 2011 è toccato alla Russia, un faro della tolleranza... 
Quindi nessuna preclusione a priori. L'Arabia Saudita partecipi, è benvenuta. Però, dicono quelli del Salone ai sauditi, Paese ospite no. Non subito, almeno. Mica funziona così. Venite pure, con il vostro bello stand, fate un po' di noviziato, e fra due-tre anni se ne riparla.
Perfetto. I sauditi eseguono, nel 2013 partecipano con un ricco stand, pagano il plateatico, distribuiscono libri ai visitatori, e il loro debutto al Lingotto non suscita nessuno scandalo. Però scalpitano. Ogni promessa è debito: dopo tre anni di presenza al Salone, e di affitti a Gl, arriva il loro turno. Saranno gli ospiti del 2016. In lista d'attesa ci sono anche Azerbaijan e Kazakistan. Ma tocca al Regno.

La telefonata: non siamo più tanto convinti

E così siamo tornati a oggi. Anzi, allo scorso maggio. L'uscita cerchiobottista della Milella non resta senza conseguenze. Secondo quanto sono riuscito a ricostruire, in quei giorni concitati Rolando Picchioni riceve la telefonata di un cortese ma imbarazzato diplomatico saudita, che sollecita una risposta chiara e definitiva, e lascia capire che anche loro, i sauditi, non sono più tanto convinti dell'operazione. Pare che il diplomatico accenni anche alle crisi internazionali che Ryad deve fronteggiare, tra Isis e Yemen; e insomma, sembra di capire che hanno altro per la testa; e forse non li entusiasma una partecipazione costellata di proteste e manifestazioni contro la loro disinvolta gestione delle esecuzioni capitali e della libertà di pensiero.
Picchioni, ormai presidente uscente, prende atto e riferisce a Chiamparino. Questo mi risulta: ma se il Chiampa ha una versione alternativa può chiamarmi quando vuole, il mio numero lo sa, e io sono pronto a raccogliere qualsiasi ulteriore precisazione.
Picchioni - a quanto apprendo - cerca di parlarne anche con Fassino, ma non riesce a contattarlo.
Non sono riuscito ad appurare se questa telefonata sia avvenuta prima o dopo la celebre minchiata della bandiera: quando, cioé, un malcapitato addetto stampa pubblicò sul sito del Comune una bandiera saudita tarocca trovata in rete, con la scritta in arabo contenente in  realtà insulti contro l'Islam. Chissà, anche questo "infortunio" potrebbe aver contribuito al "raffreddamento" dei sauditi. Forse no, forse sì. Non è fondamentale.
Comunque vadano le cose, nulla trapela del nuovo atteggiamento saudita. Semplicemente, nel Paese ospite nessuno parla più. L'estate del Salone trascorre lietamente tra i litigi interni e sfocia nella scena madre del nostro 11 settembre, con la fuga dell'infuriata Cogoli e la Fondazione sull'orlo del baratro.

La questione torna a galla

Ma un triste giorno l'infamia del ragazzo di 21 anni condannato a morte atroce riporta l'attenzione mondiale sull'Arabia Saudita e i suoi singolari costumi. Chiamparino e Fassino se ne escono con la nobile dichiarazione di sabato scorso ("Riteniamo sia necessario riconsiderare tale invito, data l'importanza, soprattutto in questo momento storico, di trasmettere messaggi univoci e coerenti in tema di rispetto dei diritti universali della persona"), e la Milella assicura che la questione sarà affrontata e risolta dal prossimo CdA. Facile immaginare che l'invito all'Arabia Saudita sarà ritirato, e che nel 2016 non ci sarà nessun Paese ospite.

Porte in faccia. Di chi a chi?

Nel casino totale ci siamo però dimenticati dell'opinione dei sauditi.  Resta da capire se e quando abbiano ricevuto un "invito" formale; e adesso, con quel che è capitato, manco sarebbero dell'idea.
E allora la domanda parrà oziosa ma s'impone, tanto per chiarire: siamo noi che non li invitiamo più, rimangiandoci una scelta non più sostenibile? Oppure sono loro che hanno deciso di non venire, e noi cogliamo l'occasione umanitaria per mascherare la porta che loro ci sbattono in faccia? 
In chiusura, rilancio la proposta: l'anno prossimo invitate la Giamaica.
One lova.

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