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BARNUM, YESMEN E MORAL SUASION: UN POST SUL POTERE


La folla al Kappa FuturFestival...
...e la folla al Tjf per i Blues Brothers
E' una bella e calda domenica, mi pregusto stasera Goran Bregovich, e intanto leggo le cronache del successo annunciato del Kappa FuturFestival e dell'altrettanto prevedibile bingo di Caparezza ieri a Collegno (nonché, mi segnalano gli amici delle Gru, il sold out di Renga al GruVillage, dopo quello predestinato dei Litfiba giovedì scorso). Oggi, tra Die Antwoord al Parco Dora e Bregovich al Flowers, Torino offre davvero un sontuoso scenario da città internazionale. Combinazione grazie a due festival privati, dove la mano pubblica è pressoché assente, o marginalissima.
Intanto, nella mailbox di Gabo piovono segnalazioni di imprese piccole ma coraggiose: mi scrivono quelli di "That's amore fest", rassegnina che si terrà il 18/19 luglio allo Spazio 211, e mi parlano di "soldi ed energie spese in autoproduzione, non perché sia una scelta facile, anzi!, ma perché c'è chi di necessità fa virtù". 
Mi scrivono quelli di Apolide Rock Free Festival, il vecchio Alpette Rock sopravvissuto - per miracolo e per il sostegno (morale) della Regione - all'insipienza di qualche notabile di paese: e mi ricordano che ci sono anche loro, zitti zitti, da dodici anni, chediolibenedica.
Mi scrivono - e andiamo sui pesi massimi - da Monforte d'Alba, dove quelli di Monfortinjazz da 39 anni, con pochissimo denaro pubblico e tanti sponsor del territorio, riescono ad allestiere cartelloni d'alto livello: per dire, quest'anno hanno portato i Los Lobos e porteranno ancora Branford Marsalis il 16 luglio, De Gregori il 24, Kings of Convenience il 26 e Gualazzi il 2 agosto. Scusate se è poco.

I contributi avvelenati

Potrei continuare a lungo, ma nell'era di internet è inutile che vi segnali quanto di bello e buono c'è da ascoltare nelle sere d'estate. Mi colpisce invece un fatto semplice e meraviglioso: si tratti della mega-rassegna piena di nomi popolari, oppure di un piccolo evento indipendente, è ancora possibile fare, e fare bene, senza aspettare la manna dal cielo dei contributi pubblici che ormai non arrivano più; o, se arrivano, sono una mala-manna, perché la politica usa sempre più il denaro come arma di ricatto nei confronti della cultura. Io ti sgancio i soldi, però tu fai come voglio io. E spesso il "come voglio io" è la quintessenza della protervia e dell'ignoranza, ma soprattutto della prevaricazione.

"Moral suasion" suona meglio di "ricatto"

Di recente è girata la voce, a Torino, che la politica voglia "imporre al più presto un ricambio" ai vertici di alcune manifestazioni o istituzioni culturali ree di avere da sempre lo stesso direttore. E pazienza se si tratta di associazioni private, che ovviamente fanno ciò che meglio credono: i pubblici amministratori, questo il succo dell'indiscrezione, potrebbero in tal caso utilizzare "la moral suasion" per imporre il ricambio, "facendo leva sui contributi pubblici di cui, a vario titolo, tali associazioni godono". L'inglese è una lingua meravigliosa: ammetterete che "moral suasion" suona assai meglio di "ricatto".

L'era degli assessori-Barnum

In realtà quei boatos non hanno avuto seguito. Possibilissimo che fosse una bufala. Ma una bufala verosimile, perché coerente con il nuovo approccio del potere alle "politiche culturali". Un tempo gli assessorati sceglievano una linea, e progetti coerenti. Magari sbagliati: però coerenti, ed affidati a gente competente. Oggi siamo nell'era dell'assessore-Barnum che si improvvisa impresario. L'occupazione delle poltrone con yesmen di fiducia diventa quindi un obiettivo prioritario a fini di controllo e consenso.

Figli e figliastri: se è roba mia, è sempre più bella

I pubblici amministratori puntano a gestire direttamente il lavoro culturale tramite i loro uomini; e vogliono mettere la loro faccia, il loro "marchio", su iniziative nuove: quelle ereditate dai loro predecessori non li interessano perché non sono farina del loro sacco, e quindi rendono meno dal punto di vista della visibilità personale.
Abbiamo sotto gli occhi esempi notissimi: pensate soltanto a MiTo che perde man mano contributi (da dieci a un milione di euro in pochi anni) mentre le risorse vengono dirottate su creature artificiali, concepite a freddo nelle stanze dell'assessorato, come il Torino Jazz Festival e il Classical Music Festival, pompatissime con investimenti dissennati in promozione e con le solite spacconate su folle in delirio e presenze oceaniche che nessuno può verificare. O guardate com'è andata con Traffic, cancellato perché "non di proprietà comunale" e sostituito da un progetto che soltanto l'autorefenzialità della politica può definire "di richiamo internazionale" senza scoppiare a ridere.
Si tratta di progetti "su ordinazione" dell'assessore di turno. Destinati con ogni probabilità a non sopravvivere quando a Palazzo Civico si insedierà un nuovo titolare della licenza, un nuovo mister Barnum che a sua volta pretenderà il suo giocattolino, a sua immagine e somiglianza, e alla sua immagine (e somiglianza) consacrato.
Va così. E una simile mentalità necessita di solerti esecutori. Meglio evitare direttori e presidenti combattivi e capaci di picchiare i pugni sul tavolo di fronte all'ennesima minchionissima pretesa del politico so-tutto-io. Alcune recenti nomine sono coerenti con tale urgenza della politica.

Il banco di prova: la presidenza dello Stabile

Adesso un banco di prova determinante sarà la sostituzione di Evelina Christillin alla presidenza dello Stabile. Prima che fosse chiamata al vertice dell'Enit, la sua conferma al Tst era tutt'altro che sicura, con buona pace dei politici che adesso piangono in piazza, fintamente desolati di non poterle rinnovare l'incarico. Giurano che non ci sono soluzioni precotte, dicono che hanno persino fatto un "call" (ovvero un bando, ovviamente "non vincolante") in cerca di candidati, e si dolgono che finora nessuno si sia fatto avanti. A dire il vero, io questo famoso "call" in rete non l'ho trovato, per quanto mi sia messo di buzzo buono. Però io sono un analfabeta informatico: di sicuro il "call" ci sarà, somewhere. Partecipare (non che mi passi per l'anticamera del cervelletto di farlo, sono mica matto!) sarebbe comunque tempo perso: alla fine, per statuto, il nuovo presidente dello Stabile lo sceglierà Fassino. Lui sostiene di non avere in mente nessun nome. Io sostengo di essere l'imperatore della Cina. Staremo a vedere. Di sicuro, so soltanto che non sarà io il prossimo presidente del Tst. E neppure un altro tritamaroni. Ma se su quella poltrona ci piazzano l'ennesimo yesman (o yeswoman, che oggi fa più glamour) sarà mia premura segnalarvelo.

Commenti

  1. Uno dei tanti modi che, da giovane, avevo trovato per perdere tempo e rimandare la laurea era mandare un fax tutte le settimane a un giornalista che non ho mai incontrato di persona. Un tizio noto (probabilmente anche alla Digos) come Gabo/Gabriele Ferraris.
    Mandavo un fax e la Stampa parlava dei nostri concerti anche se non erano propriamente legali o "626 compliant".

    Devo dire che tra i due, quello che ha continuato a sfidare i mulini a vento non è lo squat, ma il giornalista della Busiarda che prendeva i soldi di Giuanin Lamiera (ovvove...).

    Chapeau Ferraris, dico sul serio, ma questa tua cotta per Evelina non la capisco.
    Anche se è molto in gamba e molto onesta è pur sempre un mulino a vento, e pure bello grosso.

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  2. Veda, cavo amico, i mulini a vento sono anche utili, macinano il fvumento. A me fanno incazzave solo quelli che givano a vuoto e pvocuvano danni... ;)

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  3. E poiché lei, benché Anonimo, mi sembra una persona intelligente, voglio dirle una cosa seria. Ho lavorato alla Stampa quando c'era Giuanin Lamiera, prendendo i suoi soldi nel pieno rispetto delle regole del plusvalore, nel senso che sicuramente rendevo almeno un centesimo più di quel che costavo. Ma ho sempre potuto fare ciò che volevo e scrivere ciò che pensavo: certo, mi occupavo di musica cultura e varia umanità, quindi temi non troppo pericolosi. Però devo affermare, a onor del vero, che con Giuanin non ho subìto censure e non ho mai detto sì se pensavo no. Non dubito che uno yesman avrebbe fatto più carriera. Ma chissenefrega? Mi sono divertito, non ho mai sofferto il lavoro, ho fatto ciò che ritenevo giusto e mi sono trovato benissimo. Come si dice? I servi vanno (forse) in paradiso, ma gli uomini liberi vanno dappertutto.

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