L'altro ieri hanno presentato il secondo rapporto di Unioncamere sull'impatto economico della cultura in Piemonte. Ne ho parlato in un post, dove trovate anche il link per andarvi a leggere il rapporto completo. Ieri ho anche pubblicato su La Stampa un commento che ora posto sul blog, per chi se lo fosse perso e fosse interessato a leggerlo.
Da La Stampa di mercoledì 18 dicembre
I numeri si commentano da soli. Nel pieno della crisi, tra
il 2011 e il 2012, il sistema produttivo culturale piemontese registra un
aumento dello 0,4% del valore aggiunto e – udite udite – dell’1,6% dell’occupazione,
mentre il totale dell’economia nello stesso periodo è di segno negativo:
rispettivamente -1,3% e -1,1%. Certo, si poteva fare meglio, se la pubblica
amministrazione e i privati avessero aumentato, o almeno mantenuto, gli
investimenti nel settore, anziché dar retta ai brillanti economisti che, sprezzanti
dei fatti e del ridicolo, predicano che la cultura è un lusso improduttivo.
Vadano a leggersi il dato della “spesa turistica attivata dal sistema
produttivo culturale”, ovvero i soldi che i visitatori ci lasciano in tasca
grazie a quel “lusso improduttivo”. E’ quasi la metà (per la precisione il
47,1%) della spesa turistica totale in Piemonte. Alla faccia delle nostre belle
piste da sci e dei nostri fiorenti outlet. Lo stesso dato, per l’Italia intera
(dico l’Italia, mica il Kazakistan) è inferiore di oltre 11 punti.
Il problema, quindi, è come (non “se”) investire in cultura.
Un settore economico così importante deve avere una strategia, una “governance.
Le risorse vanno coordinate. E vanno coordinati i “giocatori”: oggi ogni
assessore alla Cultura fa la sua politica, e magari manco si parla con il
collega del Turismo della sua stessa giunta. Figuriamoci con gli altri. Servono
invece obiettivi condivisi, razionalizzazioni intelligenti ed economie di
scala. Servono “reti” che moltiplichino la resa (già considerevole) di ogni
euro speso. Ieri l’assessore Coppola, durante la presentazione del rapporto, ha
alluso all’imminente nascita della Superfondazione per l’arte contemporanea. Ben
venga, purché funzioni. Ma non c’è superfondazione che tenga, se mancano i
cervelli. Dio ci scampi dai carrozzoni farciti di personalismi e stupidità.
Eppure è un rischio che dobbiamo accettare, per non finire come la cavalleria
polacca contro i panzer tedeschi. Il sistema deve uscire dal modello
novecentesco e attrezzarsi per le sfide di oggi. Senza ascoltare quanti – semplici
bruti, banali qualunquisti o convinti seguaci della Scuola di Chicago (tipo
Giannino, ma talora laureati) - ripetono che ogni singolo “cittadino” deve decidere
personalmente se finanziare la cultura, e quale cultura. Tra stadio e Stabile,
paventerei la scelta. E invece, con il massimo rispetto per lo stadio, conviene
tenerci lo Stabile. Alla lunga rende lo stesso. E non ci sono ultrà.
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